La fine della morte. Vita eterna nell’era dell’intelligenza artificiale
«Cosa succede quando all’essere umano viene tolta anche l’ultima certezza, cioè la finitezza della sua vita? Cosa comporta un clone digitale per la comprensione che un essere umano ha di sé? Possiamo osare interferire con il cerchio della vita e permettere che gli uomini diventino (digitalmente) immortali? […] Forse tutto ciò è solo l’inizio, l’inizio della fine della nostra finitezza.» (1)
Queste alcune delle domande al centro di La fine della morte. Vita eterna nell’era dell’intelligenza artificiale, il primo saggio di Moritz Riesewieck e Hans Block (edito da Tlon nel 2023 nella traduzione italiana di Paola Moretti). Gli autori si erano già occupati degli aspetti controversi delle nuove tecnologie nel loro documentario Quello che i social non dicono – The Cleaners (2018).
Questo volume può quindi essere letto in continuità con l’intento di svelare le storie e le tecnologie dietro alcuni fenomeni dell’era digitale e di interrogarsi sulle loro implicazioni.
Come suggerisce il titolo, il saggio consiste in un’indagine sulla cosiddetta “immortalità digitale”: la possibilità di continuare a vivere in eterno in forma digitale, anche dopo la propria morte fisica.
Nella prima parte (Incontri) sono raccolte le testimonianze di chi sta elaborando soluzioni tecnologiche per “sconfiggere la morte” attraverso le tecnologie, soprattutto quelle basate sull’Intelligenza Artificiale.
Queste storie sono spesso popolate da chatbot (ma anche da avatar digitali o robot) che riproducono il comportamento, la comunicazione e la personalità di un individuo defunto; in questo modo sono in grado di dialogare così come avrebbe fatto la persona stessa (è il caso del “dadbot” realizzato da James Vlahos a “immagine e somiglianza” del padre in fin di vita).
Seppur non perfetti, i risultati finora sono promettenti.
La tecnologia che rende possibile ciò è appunto l’Intelligenza Artificiale: alcuni algoritmi di machine learning (le reti neurali artificiali) sono addestrati su dati vocali e testuali (registrazioni, post sui social, ecc.) e uniti a tecniche di Natural Language Processing (elaborazione del linguaggio naturale) per “profilare” la persona e simulare conversazioni realistiche e verosimili.
Nella seconda parte (Osservazioni) gli autori approfondiscono alcune tematiche emerse nei capitoli precedenti e le loro considerazioni al riguardo. Presente in tutto il libro è la questione dell’“anima digitale”, ossia l’essenza o personalità di un individuo rappresentata dai dati digitali che si lascia dietro e che permangono anche dopo la sua morte.
L’anima digitale prende la forma di un profilo personale costituito dalle nostre informazioni digitali, che possono essere usate per addestrare un’IA al fine di creare un chatbot/avatar che ci rappresenti.
Gli autori avanzano anche alcune ipotesi sull’origine e il successo della ricerca sull’immortalità digitale.
A livello individuale, le motivazioni nascono solitamente dalla perdita di una persona cara o dall’avvicinarsi della propria morte. A livello sociale e collettivo, c’è il tentativo da parte delle aziende di sfruttare il vuoto creatosi tra il bisogno di spiritualità della popolazione e l’inadeguatezza delle religioni tradizionali: in questo modo, le tecnologie digitali promettono una nuova soluzione al “vecchio” problema dell’immortalità dell’anima.
Nel loro resoconto, Riesewieck e Block riflettono anche sulle implicazioni ambivalenti che queste tecnologie potrebbero avere su individui e società. Da una parte, i benefici risiedono nella possibilità di salvare la memoria personale e collettiva, di decidere come essere ricordati, di dare conforto ai parenti del defunto. Dall’altra, i dubbi riguardano gli effetti psicologici negativi di una mancata elaborazione del lutto, la sensazione di straniamento in caso di difetti del chatbot, la perdita della capacità di ricordare, la ridefinizione dell’identità personale, e lo sfruttamento del lutto per scopi commerciali.
Gli autori non si sbilanciano mai completamente a favore di una o dell’altra posizione, ma alternano curiosità e ammirazione a critica e scetticismo.
Sebbene la loro tesi sia disseminata lungo il racconto, la conclusione riassume la loro lettura del “mito” dell’anima digitale: il concetto di anima riacquista la sua centralità con le tecnologie, sebbene resti impossibile da replicare pienamente in maniera digitale.
Nelle parole degli autori, questo fenomeno:
«È il rinascimento dell’anima. La rinascita sotto nuove spoglie di un antichissimo concetto dell’umanità.» (2)
Inoltre, le tecnologie dell’immortalità digitale aprono altre tematiche accennate nel libro: ad esempio, il rispetto della privacy e delle decisioni di persone defunte, il diritto all’oblio, la nascita di una nuova religione incentrata sull’IA.
Ciò rende l’idea che quello dell’immortalità digitale è un tema estremamente vasto e complesso, nonché difficile da anticipare a pieno per via della rapidità e dell’imprevedibilità dello sviluppo tecnologico (si pensi solo ai nuovi scenari aperti di recente dall’IA generativa).
Quella di Riesewieck e Block è quindi un’indagine iniziale che non può essere esaustiva e definitiva, ma che fa luce su un fenomeno solo apparentemente lontano, attraverso una panoramica delle principali tecnologie e dei loro possibili risvolti etico-sociali e filosofici.
Come sottolineato anche nel saggio, il tema riaccende infatti vecchie domande filosofiche (esiste un’anima? Esiste una vita dopo la morte?) e ne solleva di nuove (è possibile un’anima digitale? Come cambiano il lutto, la memoria, l’identità, la vita stessa se possiamo vivere in eterno e nulla viene dimenticato ma salvato digitalmente?).
La filosofia rappresenta ancora una volta un utile strumento da cui partire o a cui fare ritorno per interrogare queste tecnologie, per rispondere a vecchie domande e per porne di nuove.
Grazie Edizioni Tlon!
- M. Riesewieck, H. Block, La fine della morte. Vita eterna nell’era dell’intelligenza artificiale, Edizioni Tlon, Città di Castello (PG), 2023, pp. 29-30.
- Ivi, p. 368.
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