
Black Marxism di Cedric Robinson è uno di quei libri che riescono in un compito difficile: cogliere effettivamente nel concreto delle sfumature della nostra realtà, del sistema in cui ci muoviamo.
Parte da una domanda molto teorica: dove si incontrano il marxismo, inteso sia come pratica sia come teoria politica, e il radicalismo nero? Ma nell’analizzare le categorie di questi due mondi offre una prospettiva critica che è utile al di là dell’analisi intellettuale.
Il testo si struttura appunto intorno a una critica al marxismo, che è riuscito a individuare la dinamica del materialismo storico che caratterizza ogni epoca, e dunque la categoria di lotta di classe, ma l’ha fatto in ogni caso come figlio della cultura occidentale. Segnato dall’eurocentrismo, non è riuscito a individuare il ruolo del razzismo nello sviluppo capitalistico: ha peccato nel riconoscerlo solo come un effetto collaterale del capitalismo, quando in realtà:
«Parte integrante dell’inventario civile occidentale, il razzismo avrà riverberi sia all’interno sia all’esterno, trasferendo il proprio lascito dal passato al presente» (1).
Per questo esso si radica anche nel capitalismo, che secondo Robinson può allora essere propriamente definito come “capitalismo razziale”.
L’oppressione razziale ne è infatti un elemento costitutivo, perché sulla base della razza il capitalismo crea una specifica divisione del lavoro – ne è esemplificativa la schiavitù – in modo da accrescere il proprio capitale. Inoltre, questo sistema usa il razzismo anche come uno strumento di disciplina della forza-lavoro, cosicché i soggetti razzializzati, appunto per via delli questo tipo di oppressione, incontrano nella vita di tutti i giorni ostacoli alla propria libertà, quale per esempio la difficoltà a esercitare i propri diritti politici.
Dunque, la classe non è davvero così universale come il marxismo tradizionale l’ha raccontata, ma è invece piena di specificità interne che la rendono complessa.
«Il marxismo occidentale […] non si è dimostrato sufficientemente radicale per smascherare e sradicare l’ordine razzialista che contamina le proprie applicazioni. analitico-filosofiche o per venire efficacemente a patti con le implicazioni delle sue origini di classe. Come risultato, è stato scambiato per qualcosa che non è: una teoria universale di liberazione» (2).
L’universalità non è possibile anche perché la categoria di capitalismo razziale si accompagna a quella di sviluppo diseguale, secondo cui il capitalismo, espandendosi globalmente, crea interdipendenze ma genera anche profonde disuguaglianze e gerarchie tra diverse società, che quindi non possono essere analizzate in maniera uguale.
È chiaro, da questi accenni di un testo imponente, che Robinson ci aiuta in un compito ben preciso: mettere in discussione le categorie dominanti del pensiero occidentale, per indagare accuratamente la storia dell’oppressione dei soggetti razzializzati, così come la forza e la dignità della loro lotta. Un compito che il presente ci richiede.
Grazie Edizioni Alegre!
(1) C. J. Robinson, Black Marxism. Genealogia della tradizione radicale nera, 2023, Edizioni Alegre, Roma, p. 44.
(2) Ivi. p. 712.
“Zitta, donna!”: fenomenologia del linguaggio pornografico
9 Febbraio 2025E se i Troll mangiassero i cookie?
6 Febbraio 2025Intervista a Giulia Siviero
2 Febbraio 2025
-
La guerra senza nome
14 Gennaio 2019 -
Esperienze del mondo: l’essere umano e l’animale
10 Marzo 2023 -
Ecologia queer: Greta Gaard
6 Novembre 2019
Filosofemme è un progetto che nasce dal desiderio di condividere la passione per la filosofia tramite la figura delle filosofe.

Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Privacy PolicyCookie Policy