
Quella dei Millennials è la generazione a cui appartengono le persone nate tra il 1980 e il 1996.
Sono collocatə tra la Generazione X (natə tra il 1965 e 1979) e la Z, quella dei nuovi giovani venuti al mondo tra 1997 e il 2010. A differenza di quelle successive che sono nate quando le tecnologie erano già diffuse, lə Millennials sono cresciutə nelle prime epoche di diffusione del cellulare e di internet, quando ancora PC e mezzi di comunicazione simili erano ai propri albori e riservati a pochə.
Essendo la mia generazione, quando ho saputo della possibilità di recensire il libro Millennial – la generazione dimenticata di Giorgia Pacione Di Bello, mi sono lanciata subito con entusiasmo alla lettura.
Essere millennial mi fa sentire una sorta di ibrido tra generazioni (apparentemente) agli antipodi. Per questo, quando vengono attaccati i giovani mi sento colpita sul personale, ma allo stesso tempo vedo con una certa distanza alcuni comportamenti e linguaggi degli adolescenti di oggi.
Il libro di Pacione Di Bello è un interessante saggio che tratta le difficoltà dei millenials (anche se, in realtà, delle persone giovani in generale) dal punto di vista lavorativo, economico-sociale, senza analizzare gli eventuali problemi di tipo psicologico che la mia generazione ha.
Esponendo dati statistici e risultati di sondaggi e studi, l’autrice ci mostra le difficoltà di ragazzə e dei neo-adultə nel mondo del lavoro e la quasi completa assenza di leggi che lə tutelino.
A seguito di una breve Confessione, che la scrittrice conclude invitando cortesemente i baby boomer a lasciare il posto ai giovani, nel secondo capitolo Pacione Di Bello conferma la mia sensazione di essere – in quanto millennial – in mezzo a due mondi molto diversi.
«Parliamo di persone che per certi versi hanno ancora i valori delle generazioni passate (desiderio del posto fisso), ma che dall’altro guardano senza paura al futuro, non temendo l’innovazione e volendo essere al centro della propria vita, anche lavorativa». (1)
Questo ci renderebbe persone particolari e utili per le generazioni future in quanto potremo «preparare il terreno, in senso di innovazione dei modelli organizzativi, per la generazione Z […]» (2), ma questa nostra potenzialità non ci viene riconosciuta: la politica ci ignora, siamo molto più poverə delle generazioni appena precedenti e viviamo, nella vita e nel lavoro, in un eterno precariato.
Non a caso, nel capitolo successivo Pacione Di Bello si concentra sul lavoro e su come lo intendono i millennials. A differenza di quello che viene loro imputato, i giovani considerano fondamentale contribuire in prima persona al miglioramento della propria azienda. Per questo, prendendola così sul “personale” se vengono traditi dalla realtà aziendale, la abbandonano.
Per lə millennials, quindi, il lavoro è fondamentale, così come lo è la volontà di rinnovare le imprese: dovendo diventare i futuri capi della gen Z, sentono di dover dare loro soluzioni e modelli aziendali innovativi e non più antiquati.
Parlando di modelli anacronistici, guarda caso la parte successiva si intitola L’Italia è il Paese dei baby boomer: i millennials contano poco e l’età di chi governa a livello locale e centrale e di chi è a capo di importanti imprese italiane ne è l’esempio. L’età media di ministri e presidenti di regione è, ad esempio, sui 60 anni. Anche relativamente agli amministratori delegati delle aziende più importanti, elencate nel libro di Pacione Di Bello, la situazione non è molto migliore: i più giovani sono gli AD di Terna e Ferrari che hanno 55 anni.
Dato che contiamo poco a livello politico, sociale ed economico, alcune aziende si sentono legittimate a pagarci meno rispetto al passato in proporzione al costo della vita (e nonostante i titoli maggiori che solitamente abbiamo).
Gli stipendi più bassi e i prezzi più alti di tutto ci portano a ritardare la nostra indipendenza economica rispetto al passato. Insomma, baby boomer, se siamo dei “mammoni” non è colpa nostra.
Nel capitolo successivo, però, Pacione Di Bello sottolinea che non è nemmeno tutta colpa dei baby boomer. Questa affermazione ci permette di comprendere che l’intento dell’autrice non è quello di fomentare uno scontro generazionale, ma piuttosto esporre i motivi scatenanti dell’inquietudine dei giovani. Certo, sentirci accusati di pigrizia, menefreghismo e cose simili non ci aiuta. Nella parte successiva, Pacione Di Bello smonta le accuse che ci vengono fatte dalle altre generazioni.
Ammette, andando avanti con la trattazione, che abbiamo delle prospettive diverse rispetto al passato: puntiamo sullo smart working e amiamo la flessibilità lavorativa (e a causa delle mancanze di alcune aziende italiane, andiamo all’estero…). Non per questo, però, siamo meno lavoratori o meno alla ricerca di un posto nel mondo. I NEET (Not in Education, Employment or Training) sono molti, è vero, ma non è per pigrizia, ma per meccanismi più complessi causati da una precarietà di fondo.
Al di là dei preziosi consigli che l’autrice fornisce sull’avere una pensione integrativa (visto che chissà se la nostra arriverà mai), quello che Pacione Di Bello trasmette è la volontà di farci guardare alle cose così come sono, con dati alla mano, dimostrando che molti dei miti sui millennials, sono appunto solo miti, stereotipi e che, se qualcosa di quello che si dice è vero, è perché la società non agevola la nostra realizzazione economica e sociale.
Non c’è in questo discorso volontà di giustificare a prescindere, ma piuttosto di fare chiarezza.
Io, da millennials, l’ho approfondito con interesse senza dubbio, ma Millennial – la generazione dimenticata dovrebbe essere letto soprattutto dalle generazioni a noi precedenti che spesso ci accusano delle peggio cose, senza pensare che anche se abbiamo cellulari, PC, tecnologie costose, non stiamo diventando adulti in un mondo facile.
Abbiamo apparentemente tanto, ma ci manca qualcosa di fondamentale: la progettualità per il futuro, che ci pare qualcosa di incerto.
Grazie Capponi Editore!
G. Pacione Di Bello, Millennial. La generazione dimenticata, Capponi Editore, Ascoli Piceno, 2024.
(1) Ivi, p.12.
(2) Ibidem.
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