Lavorare meno. Se otto ore vi sembran poche

0
1

Intitolare un libro Lavorare meno nel nostro millennio è un atto coraggioso.

È vero, negli ultimi anni si sta puntando molto, almeno a parole, al miglioramento delle condizioni lavorative e, quindi, sul “lavorare meglio” ma sul meno ancora, soprattutto in Italia, la strada è lunga.

Per questo Sandro Busso, chiamando in questo modo un libro e, addirittura, sottotitolando Se otto ore vi sembran poche, fa qualcosa di eccezionale.

I titoli delle due parti in cui è suddiviso lo scritto sono già di per sé parlanti: Promesse non mantenute e Invertire la rotta.

La prima sezione rappresenta, riprendendo suddivisioni antiche, una sorta di pars destruens.

Qui Busso parla, infatti, di una serie di sogni e progetti che non sono andati a buon fine legati al lavoro.

In passato, così come oggi, l’essere umano ha, ad esempio, sperato che le “macchine” e l’automazione potessero giungere a sostituire, almeno in parte, il suo lavoro. Questo sin dall’Antica Grecia, ma ancora oggi – nell’era dell’iper-tecnologia e dell’AI – ciò non è ancora possibile (e forse nemmeno auspicabile).

Anche la tanto sperata riduzione dell’orario lavorativo teorizzata tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento risulta non essere realizzata del tutto. È vero, rispetto all’Ottocento, c’è stata una diminuzione del tempo lavorato grazie alle lotte di lavoratorə e sindacati. Aumentando il lavoro, sono però aumentati anche lə lavoratorə e, di conseguenza, il monte ore complessivo. Oltre a questo, ci sono Paesi in cui ancora le ore lavorate sono moltissime, poiché mancano le medesime tutele e regole di alcuni Paesi più “sviluppati”.

Un’altra critica che Busso fa riguarda la volontà dei governi di misurare, a tutti i costi con i numeri, i tassi di occupazione e dati simili spacciandoli come assolutamente oggettivi.

Busso contesta i parametri utilizzati e soprattutto questo modus operandi legato al dato, all’obiettivo, che risulta essere sbagliato perché non porta ad un miglioramento effettivo, ma ad una sorta di autoregolazione, la quale non garantisce una qualità reale. Per Busso, inoltre, nemmeno il welfare e la maggiore “flessibilità lavorativa” sono, per ora, soddisfacenti e non hanno dato risultati, come nemmeno le retoriche legate all’etica e alla passione del lavoro. Spesso ci capita di dire o di sentir dire che amiamo il nostro lavoro e, per quanto vero, questo ci porta ad innescare un meccanismo di auto-sfruttamento.

La sostituzione del lavoro umano con le macchine, la riduzione dell’orario lavorativo, il welfare, la flessibilità e l’etica e la passione per il lavoro sono tutte cose interessanti ma, mancano di solide basi poiché rimangono legate alle logiche capitalistiche e di mercato.

Ecco che nella seconda parte, che fa da pars costruens, Busso spinge ad Invertire la rotta, parlandoci di alcune soluzioni per migliorare e diminuire il lavoro.

Negli ultimi anni si sta discutendo sempre di più dell’importanza del tempo libero e di una conseguente riduzione dell’orario lavorativo, ma anche di flessibilità lavorativa e di lavoro per obiettivi: tutti concetti interessanti, con evidenti vantaggi da vari punti vista, ma con lati oscuri, soprattutto perché legati ad una concezione di lavoro ancora antiquata e, in qualche modo, discriminatoria.

Un altro argomento che è esploso è quello del salario minimo e del reddito di base: il primo è una realtà in vari Paesi (e proposto da più parti anche in Italia, ma scartato dal governo attuale), mentre il secondo rimane qualcosa di ancora piuttosto sfumato. Infatti, scrive Busso, mentre l’istituzione di un salario minimo pare essere una cosa ammissibile per varie persone, poiché garantirebbe che lə lavoratorə siano giustamente ricompensatə, costituire un reddito di base, per cui vieni “pagato” solo per il fatto di nascere, pare ancora qualcosa difficile da accettare.

La retorica del lavoro con cui siamo cresciutə ci porta a credere che dare a tutti una sorta di “compenso” a prescindere, possa portare alla mollezza, alla pigrizia, al non lavoro. Inoltre, si pensa che sarebbe una spesa insostenibile per lo Stato, che donerebbe senza aver nulla in cambio. Busso, ribaltando le credenze comuni, si chiede: «Siamo sicuri che una società senza povertà non produca dei ritorni?» (1).

L’autore ci invita a riprenderci il nostro tempo, smettendo di guardare chi lavora tanto con ammirazione.

Nelle ultime pagine del libro, a proposito di ciò, Busso prende come esempi di questa rivendicazione del diritto al tempo il movimento femminista e quello ambientalista: il primo riflettendo sul ruolo della donna e di altri soggetti discriminati, il secondo criticando l’iper-produttività e l’iper-consumo.

Il succo dell’interessantissimo discorso di Busso è che non può esserci un cambiamento nel lavoro senza un profondo mutamento politico e sociale. 

«Oggi lavorare meno è un traguardo che forse a differenza di un tempo, non si può raggiungere ex lege normando la durata della giornata lavorativa, ma richiede una trasformazione radicale che va ben oltre i confini del mercato del lavoro» (2).

Lavorare meno è possibile solo senza disuguaglianze e se il tempo viene considerato un fine e non un mezzo (per essere più produttivi). È possibile, insomma, solo con una trasformazione radicale, appunto, che non deve, però, essere tacciata come utopia, utilizzando in modo improprio il termine. L’utopia non è, in realtà, ciò che è irrealizzabile e intangibile. L’utopia, dice Busso, ha a che fare «con l’intangibile o il non ancora realizzato» (3).

Il fatto che, da sempre, l’essere umano sogni di lavorare meno e che ciò non sia ancora avvenuto, non deve portarci a considerare questo ideale come un semplice sogno: non dobbiamo, insomma, smettere di coltivarlo.

Ecco perché i movimenti femministi e ambientalisti ci devono essere da esempio: anche in un periodo oscuro per i diritti umani e per l’ambiente come quello attuale, non smettere di lottare.

Anzi, dobbiamo acuire la lotta.

Grazie Edizioni Gruppo Abele!

S.Busso, Lavorare meno. Se otto ore vi sembran poche, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2023.

(1) S.Busso, Lavorare meno. Se otto ore vi sembran poche, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2023, p.173;

(2)  Ivi, p.10;

(3) Ivi, p.188.