Il malato: una specie di filosofo?

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La giornata mondiale del malato viene istituita il 13 maggio del 1992 da Papa Giovanni Paolo II. Per quanto un evento di questo tipo abbia un significato universale – perché tutti siamo entrati, entriamo o entreremo in contatto con persone sofferenti – essa è principalmente una ricorrenza della Chiesa Cattolica Romana e a quest’ultima è intrinsecamente legata.

Infatti, tale data non viene scelta a caso, ma corrisponde all’anniversario della prima apparizione di Maria a Bernadette Soubirous a Lourdes.

Nella rinomata cittadina francese, nel febbraio 1858 la sopracitata ragazzina quattordicenne, assieme alla sorella e ad un amico, iniziò a vedere quella che venne identificata con la Vergine Maria. Essa le indicò, in una delle tante visioni, un punto in cui scavare per trovare una sorgente. È proprio da qui che sgorgano le famose acque miracolose, che avrebbero il potere di guarire mali spesso incurabili.

Da allora è nato un vero e proprio pellegrinaggio di malati e sofferenti che cercano, in quella fonte, cura e conforto. Molti di loro sono cronici o inguaribili, che non trovano nella medicina ufficiale la soluzione ai propri problemi, perché troppo gravi o di origine sconosciuta.

Sul rapporto tra medicina e fede, ci sarebbe molto da dire e qui si preferisce evitare di spingersi oltre.


Tutelare la libertà di scelta, per se stessi, è fondamentale se essa viene compiuta in pieno possesso delle proprie capacità e con consapevolezza; allo stesso tempo è importante ricordarsi di tutte le cose meravigliose a cui la scienza ci ha portati.


Molte ricerche hanno dimostrato come la fede aiuti a superare con più ottimismo traumi, malattie e lutti.

Cercare conforto in Dio è uno dei tanti modi – e a quanto pare tra i più efficaci – attraverso cui si dà significato al proprio dolore. È questo il punto cruciale, per cui si parla di tale tema in un sito di filosofia: la malattia sconvolge la vita e porta a mettere tutto in discussione. Ci ricorda che siamo esseri mortali e che tutto quello che programmiamo e speriamo di realizzare, non sarà sempre lì, semplice, a portata di mano. Il malato diventa, allora, una sorta di filosofo: sorgono nella sua testa dubbi e domande sul senso di tutto, sul significato di vita e morte.

Egli si trova a dover compiere delle scelte.

Soprattutto al giorno d’oggi e nella nostra società, abbiamo a disposizione una molteplicità di possibili itinerari terapeutici, anche all’interno del nostro stesso sistema medico.

Nei vari luoghi del mondo, ogni cultura attribuisce un significato differente alla sofferenza e si approccia al malato di conseguenza. Per molti popoli il male è frutto di magie e stregonerie e la cura ha lo scopo di allontanare queste forze negative; per noi, ormai, è diventato principalmente qualcosa di biologico e, di conseguenza, la guarigione andrà ad agire su quelle disfunzioni che causano una determinata patologia. Tale metodo è risultato essere, sinora, il più efficace per quasi tutte le malattie.

Non sempre però è così. Esistono, come accennato, i dolori cronici, la cui origine è spesso incerta e che, per quanto non sempre mortali, sconvolgono la vita di molte persone. Ci sono, poi, patologie incurabili o degenerative, a cui la ricerca medica non è ancora riuscita a dare una cura completamente valida e risolutiva.

Lo spirito di sopravvivenza, a volte, ha la meglio – soprattutto in quest’ultimo caso – e il soggetto e/o la famiglia continuano a cercare comunque una soluzione, perché la morte fa paura.

Allora, spesso, si giunge a vie alternative, per non restare fermi ad aspettare e, nella disperazione, alcuni finiscono anche con l’affidarsi, ad esempio, a Lourdes. Si può non condividere questo tipo di risposta, perché non appare razionale, ma è legittima se aiuta i soggetti coinvolti a sentirsi meglio, anche solo psicologicamente.


Con ciò non si vuole giungere ad un relativismo spiccio, perché chi scrive crede fermamente nella medicina e nella scienza, ma si vuole portare l’attenzione sulla pluralità di significati e risposte che il malato può dare al proprio dolore.

Da quando la Chiesa ha istituito tale giornata, ha insistito sulla necessità di stare vicino ai sofferenti, un invito che sembra qualcosa di quasi scontato, a livello emotivo, in quanto sorge spontaneo in ognuno di noi. Andando più a fondo, però, perché questo avviene? Perché sentiamo di dover dar conforto ai malati e perché essi hanno tanto bisogno delle nostre cure e della nostra vicinanza? Forse poiché essi necessitano di sicurezza.

La malattia sconvolge il proprio mondo, è un naufragio e  sembra difficile trovare punti di approdo. Chi sono? Dove sono? Perché? Quando? Cosa ne sarà di me?

Famigliari e amici possono essere “oggetti” a cui aggrapparsi e da essi possono arrivare quelle risposte così difficili da trovare, parole confortanti, carezze e gesti rassicuranti.

Come mai, invece, chi sta vicino a un malato, può imparare da egli?

Ritorniamo al paragone con il filosofo.

Chi soffre diventa un pensatore e chi gli sta intorno vede in lui un “elemento disturbante” in un mondo di certezze cieche e abitudini scontate. La malattia è un terribile imprevisto, non solo per chi ce l’ha, ma anche per chi condivide la vita con questa persona. Ci porta ad immaginare scenari e futuri prima sconosciuti.

Quando pensiamo al nostro avvenire, non lo progettiamo da soli; esso è un via vai di persone, di cari che vogliamo avere al nostro fianco per essere felici. Per questo, anche chi non soffre in prima persona, si sente disorientato e comincia a porsi domande scomode, giungendo in profondità che un mondo tanto superficiale ci porta normalmente ad evitare.

Morte, felicità, senso. Cos’è questo se non una continua, disperata, a volte frustrante ricerca? Una forzata messa in discussione della vita, in cui regna, minacciosa, l’ombra della fine e la necessità di nuove risposte, più difficili da trovare, ma più sentite.

Per questo chi sopravvive ad un male o chi è stato vicino ad un sofferente, si sente più forte: il suo mondo si è riempito di significati nuovi e la sua mente sarà più aperta.

Insomma, la Giornata Mondiale del Malato sarà anche una ricorrenza solo ecclesiastica, dalle origini ambigue, ma può portare tutti ad una riflessione – per esperienza diretta o indiretta – e, in maniera particolare, noi filosofi –  per la stessa natura “disturbante” di questa nostra disciplina.


FONTI

Assael B. M., Il gene del diavolo, Bollati Boringhieri, Torino 2016.

Pizza G., Antropologia medica, Carrocci editore, Roma 2005.

https://scienceblog.com/494/religious-high-schoolers-more-optimistic-have-better-self-esteem/
https://scienceblog.com/17632/spirituality-protects-against-depression-better-than-church-attendance/