Per un’etica femminile

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Carol Gilligan è una psicologa e ricercatrice americana, autrice di un libro molto discusso: In a Different Voice, pietra miliare nel dibattito sull’etica contemporanea.

Nel suo famoso testo, la studiosa statunitense elabora due differenti modalità etiche, una maschile e una femminile: in questo modo confuta gli studi di Lawrence Kholberg, il quale semplicemente rilevava un minor grado di moralità nei soggetti femminili.

Più precisamente, gli studi di L. Kohlberg e J. Piaget, influenzati da S. Freud, sostenevano che lo sviluppo morale femminile fosse nettamente inferiore rispetto a quello maschile, considerando il modello maschile l’unico possibile, dinanzi al quale la donna era posta in una condizione di netta inferiorità.


La tesi generale della Gilligan è che l’etica delle donne non è una non-etica, o un’etica inferiore, rispetto a quella degli uomini, ma è semplicemente un’etica diversa, più “relazionale”.


Il suo pensiero è il frutto di numerose ricerche sul campo con giovani e bambini di entrambi i sessi in riferimento alle scelte morali più complesse (vita, morte, responsabilità), per comprenderne le reazioni.


Per la studiosa le donne fondano la loro etica sulle relazioni, i legami tra gli esseri umani, in continuità con il rapporto primordiale con la madre.


Gli uomini, invece, scelgono in base alle norme generali e universali; per loro vale la legge, il diritto.

La Gilligan compie una vera rivoluzione epistemologica, poiché interpreta la diversa concezione dello sviluppo morale da parte delle femmine non come un deficit rispetto ai maschi bensì come una differenza che dà origine a due distinte modalità teoriche.

Le donne usano “una voce diversa” e affrontano i dilemmi etici con una modalità “narrativa”, in contrasto con quella “logico-deduttiva” propria dei maschi. 


La “voce differente” di cui parla la studiosa rappresenta quella di milioni di donne, la cui eco, la Gilligan intende far valere nella comunità maschile dei filosofi.


Le voci di queste donne, così come quelle delle giovani da lei intervistate, rimandano, nel dirimere i conflitti morali, a particolari criteri: le esigenze di cura dell’altro e la tutela del paradigma relazionale.

Pertanto, in una dimensione etica che accolga il suono di questa “voce differente”, la cura assume il ruolo centrale che nella filosofia morale del passato avevano avuto nozioni quali il dovere e la virtù.

Il concetto di cura necessita del riconoscimento dell’altro, il preoccuparsi per qualcuno, l’interessarsi alla sua condizione di vulnerabilità e di bisogno, in quanto avente valore: prendersi cura significa porsi in un atteggiamento di empatia (capacità di sentire insieme all’altro) e di sollecitudine, avvertendo un forte senso morale verso l’altro, il tutto fondato su di un rapporto di fiducia.

Il prendersi cura è inoltre un processo che si dilata nel tempo, dunque è una virtù che si acquisisce con l’esercizio del comportamento, con una buona pratica sorretta e accompagnata da una profonda motivazione personale.

Interessante come la ricercatrice americana ritenga che, nonostante la maggiore frequenza statistica di un’etica della cura nelle donne e di un’etica del diritto negli uomini, la differenza di approcci morali è indipendente dall’appartenenza di genere;


in altre parole, esistono o possono esserci donne che pensano e operano nelle modalità proprie del paradigma maschile e uomini che pensano ed operano secondo il paradigma femminile.


Se cura e giustizia sono concetti diversi, la loro diversità non li pone in termini antitetici: la cura non vuole contrapporsi né tanto meno sostituirsi alla giustizia; la cura, semplicemente, completa il valore della giustizia.

La cura presuppone la giustizia, altrimenti porterebbe alla disuguaglianza, con il rischio di trasformarsi in sopraffazione del più forte nei confronti del più debole. Dal canto suo, anche la giustizia implica la relazionalità, in quanto necessita di riconoscere pari dignità e uguaglianza tra gli uomini e rimanda alla reciprocità di diritti e doveri tra tutti gli esseri umani.

La teoria della Gilligan, inoltre, consente alla cura di uscire dal ristretto ambito familiare,applicandosi anche all’ambito delle istituzioni politiche ed economiche, in quanto la sua concezione morale ci consente di immaginare una società più equa, dove ciascun individuo possa essere in grado di dare e ricevere cura vicendevolmente.

L’etica della cura sembra proporsi così come una prospettiva adeguata alla società globale nella quale viviamo, in quanto manifesta la capacità di rispondere al bisogno e al disagio universale del quale ogni essere umano è portatore. Essa rappresenta e soddisfa la necessità di una interdipendenza positiva su scala planetaria.


La cura, in altri termini, non è solo un principio morale ma è anche un impegno reale e continuo che implica un coinvolgimento emotivo e una determinazione a raggiungere obiettivi concreti.


Per realizzare tali obiettivi, la cura ha bisogno di  concretizzarsi in una scelta libera e consapevole ad opera di una persona che sia in grado di congiungere autonomia e dipendenza, legge e relazione.

Si potrebbe ritenere che la donna, proprio in virtù di una sua naturale propensione e sollecitudine verso l’altro, possa avere un accesso immediato alla dimensione della cura; purché non si dimentichi come tale dimensione non sia una categoria esclusiva della sfera femminile, ma appartenga ad ogni uomo (maschio/femmina) in quanto responsabile nei confronti di chi ha bisogno di cure e di aiuto perché verte in condizione di debolezza e fragilità.



BIBLIOGRAFIA:

A. Cavarero, F. Restaino, Le filosofie femministe, Bruno Mondadori, Milano, 2002.

In copertina: Pablo Picasso, 1905, Maternité
I diritti sono riservati all’autore dell’opera Pablo Ruiz Picasso (25 October 1881 – 8 April 1973) e ai suoi eredi.