Parlare della sessualità non è mai stato semplice, in modo particolare fuori dall’ambito accademico. Da una parte perché la sessualità è percepita come un tabù, su cui è meglio non indagare troppo; dall’altra perché è stata per molto tempo materia esclusiva degli studi medici e scientifici.
A partire dalla metà del Novecento, però, avvenne una vera e propria rivoluzione: per la prima volta nacquero in questo periodo diverse inchieste e studi non accademici, finalizzati a capire il pensiero delle persone circa il tema sessuale nelle sue varie sfaccettature, raccogliendo frammenti biografici, brevi dichiarazioni, opinioni e varie considerazioni che andarono a costituire un vero e proprio “materiale vivo” ricco di esperienza di vita quotidiana e modi di essere.
Una di queste inchieste è L’iniziazione, realizzata tra il 1964 e il 1965 da Lieta Harrison, che indaga il rapporto che le giovani donne italiane avevano con la propria sessualità nel periodo di passaggio tra l’infanzia e l’adolescenza. L’autrice ha intervistato 1047 adolescenti dai 13 fino ai 19 anni: studentesse, lavoratrici e ragazze-madri, soffermandosi sui loro problemi personali, sul rapporto con l’altro sesso e con i genitori e sul tabù dell’educazione sessuale. Lieta Harrison si è confrontata anche con 225 madri e 40 padri.
Il distacco tra generazioni era spesso profondo e la mancanza di un dialogo aperto tendeva a generare diversi contrasti.
Le protagoniste vivevano infatti un periodo di conflittualità dovuto al fatto che la società e le famiglie non le reputavano più delle bambine, ma allo stesso tempo non venivano considerate nemmeno delle donne adulte.
Loredana, anni 16, studentessa: “[…] Quello che mi serve oggi è sapere cosa sono? Chi sono? Cosa devo fare? Questo nessuno te lo dice mai. Il tempo te lo insegnerà, dicono i grandi. Già, il tempo. Ma intanto, ora, adesso, io cosa sono? […] E cos’è un adolescente? Una specie di cosa non meglio identificata, che non è più una bambina ma non è ancora donna. Insomma è una cosa che non è. Come fai a vivere se non sei?” (1)
Questa situazione di confusione e di instabilità caratteriale nelle giovani donne causava in loro una crisi dell’auto-riconoscimento. Nelle interviste si riscontravano stati di disorientamento e di alienazione verso il proprio corpo e verso la propria personalità. L’adolescenza è certamente contraddistinta da trasformazioni a livello biologico e fisiologico (la pubertà inizia con la maturazione degli organi sessuali), ma in egual misura anche da mutamenti di carattere psicologico e sociologico. Non sempre quindi, lo sviluppo biologico coincide con quello psicologico e viceversa. Indipendentemente dai due tipi di reazione, le adolescenti mostravano un profondo interesse e curiosità circa il cambiamento del proprio corpo. (2)
Uno dei problemi che Lieta Harrison ha analizzato attentamente riguarda la mancanza di educazione sessuale in età preadolescenziale sia nell’ambito scolastico che familiare.
Pupa, anni 17, terza commerciale: “Sono formata da cinque anni, ma non so cosa sono le mestruazioni. I genitori però dovrebbero toglierci da questa ignoranza, dovrebbero… Ma difficilmente accade. Quando mi sono formata, mia madre mi ha detto: ‘Sei diventata signorina’ punto e basta; […] Io vorrei saperlo da qualcuno che lo sa; non credo che queste mie curiosità siano morbose, non lo credo assolutamente. Ho provato a chiederlo a mia madre, ho chiesto una volta ma si è rifiutata ed ora sarebbe l’ultima persona a cui chiederei.” (3)
Da parte dei genitori c’era una certa riluttanza nell’affrontare la questione sessuale. Per questo motivo molti di loro sceglievano di non trattare l’argomento in famiglia, considerandolo quindi un tabù di cui provare vergogna. Su 265 genitori intervistati, solo 18 avevano ritenuto opportuno impartire alle figlie una rudimentale educazione sessuale, 85 di loro erano contrari a informare i figli di argomenti riguardanti la sessualità e i restanti 162 non si erano mai posti il problema. (4)
O. M., anni 43, impiegata: “Non c’è niente da insegnare nel sesso; meno se ne parla e meglio è. A mia figlia ho detto quello che si dice in queste circostanze, niente di particolare.” (5)
Le giovani risolvevano i loro dubbi e i loro problemi principalmente con gli amici e gli stessi genitori sembravano preferirlo, sostenendo che confrontarsi con i propri coetanei avveniva in maniera più spontanea, e quindi risultava essere meno traumatizzante.
Harrison ha notato talvolta in questa fase della vita una dissociazione tra sessualità e amore, che conduceva ad avere rapporti sessuali indipendentemente dalla componente affettiva, escludendo perciò una qualsiasi forma di impegno duraturo. L’atto sessuale diveniva così un “rito di passaggio” per accedere al mondo degli adulti. (6)
Quasi la totalità delle intervistate era a conoscenza dell’eventualità di incorrere in una gravidanza, ma solo il 14 per cento di loro sapeva come utilizzare i metodi contraccettivi.
Il 39 per cento delle giovani si sentiva protetto da eventuali rischi, ma basava queste sicurezze su credenze e superstizioni infondate, sottovalutando di fatto il problema. I metodi contraccettivi più utilizzati erano il cosiddetto “coito interrotto”, il preservativo e il “metodo Ogino-Knaus”. Quest’ultimo si basa sull’osservazione statistica del ciclo di fertilità della donna per individuare i giorni fecondi. Tale pratica è considerata non sicura, soprattutto perché il ciclo mestruale è irregolare.
Da questa inchiesta le giovani donne dimostravano di volere andare oltre i vecchi schemi e ai valori tradizionali, proponendo un amore nuovo e moderno che avesse come obiettivo sia il raggiungimento di una soddisfazione sessuale che il raggiungimento di una propria indipendenza e maturità personale.
Laura, anni 17, studentessa seconda liceo: “[…] Tutti voi grandi vi mettete a gridare allo scandalo per i rapporti sessuali di noi giovani. Prima le donne erano tenute sotto chiave e non avevano alcuna possibilità di avere rapporti se non dopo il matrimonio; e i ragazzi invece, anche se giovanissimi, godevano di una libertà assoluta e totale e si precipitavano a riempire le case chiuse. […] Ma per questo la società non gridava allo scandalo.” (7)
Le madri di queste adolescenti erano state educate a rispettare i tabù sessuali, ad avere un certo timore per ciò che concerneva la sessualità, considerata necessaria solamente alla procreazione. Le figlie, invece, rivendicavano la sessualità come un diritto, un piacere, e non come un dovere nei confronti del partner. Il sesso iniziava quindi ad assumere un’importanza fondamentale per le giovani donne nel conoscere il loro corpo, la loro individualità e il loro orientamento sessuale.
(1) Lieta Harrison, L’iniziazione, Milano: Rizzoli Editore, 1966, p. 8.
(2) Cfr. ivi, p. 33.
(3) Ivi, p. 38.
(4) Cfr. ivi, pp. 42-43.
(5) Ivi, p. 42
(6) Cfr. ivi, p. 103.
(7) Ivi, pp. 103-104.
Immagine di copertina: è stato impossibile rintracciare l’autore/autrice dello scatto. Tutti i diritti sono riservati, in ogni caso, all’autore/autrice. Restiamo a disposizione.
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