Ho incontrato Ágnes Heller nel settembre 2018. È passato quasi un anno da quel pranzo che avvenne proprio davanti al Castello Estense. Grazie a una conoscenza in comune, lei e Francesco si fermarono a Ferrara poco prima di ripartire per Ravenna, dove Ágnes avrebbe partecipato a un festival. Mi raccontò la sua vita, si interessò della mia, poi – allargando il raggio – mi chiese conferme e informazioni sulla città, sui suoi luoghi storici, sulle opere che vi sono conservate. Parlammo anche di Orban e della preoccupante deriva che sta prendendo sempre più piede non solo in Europa.
Per questo, quando ho visto qualche mese fa che Castelvecchi avrebbe pubblicato la sua autobiografia a cura di Georg Hauptfeld e tradotta da Massimo De Pascale, ho pensato immediatamente che non solo il suo pensiero, ma anche la sua incredibile vita, dovessero avere uno spazio su Filosofemme. Lo stesso Filosofemme che lei stessa aveva apprezzato, seppur quando era ancora in uno stato neonatale. Che strano caso.
Il valore del caso è, appunto, un testo dove Ágnes si racconta. Il suo percorso di vita non è stato affatto semplice; dalle persecuzioni naziste a quelle del regime comunista, le censure, l’interdizione dall’insegnamento, le espulsioni.
Ágnes voleva essere una scienziata, più precisamente una chimica; galeotta fu una lezione di György Lukács con il suo primo marito. Se cercate tra le sue parole la stravaganza di chi vede figure filosofiche in tutto, non la troverete: persino al sopracitato Lukács, prima maestro e poi collega nella loro Scuola di Budapest, tirò la giacca ri-portandolo a terra quando egli vedeva categorie in un pascolo di animali di montagna.
Anticipatrice dei tempi grazie alla propria straordinaria intelligenza e cultura, disse alle sue compagne di scuola in tempi non sospetti «voglio essere intelligente, non bella!»; fedele nell’amicizia e contraria ai litigi, dal padre imparò un concetto molto importante: non si abbandona mai la nave che affonda. Non abbandonò la scuola ebraica alla fine della guerra, non abbandonò Lukács, non abbandonò gli amici.
Questo, più che un caso, sembra essere stato un filo rosso delle sue decisioni, a volte degli eventi favorevoli e a volte di quelli sfavorevoli, ma spesso anche della sua salvezza.
Tali concomitanze di eventi, situazioni, incontri, sembrano aprire la strada all’intreccio dei concetti di predeterminazione e falsa libertà, a cui Ágnes non lascia mai spazio di manovra: la libertà è un valore determinante, fondamentale. Una donna che ha sempre voluto essere libera e lo è stata, anche quando la Storia le presentava il conto di eventi tragici e difficili.
E infine quell’acqua, la stessa che l’attirava «come per magia», che le ha impedito per un po’ di tempo un contatto con la sua freschezza a causa di un trauma seguito alle fucilazioni scampate sul Danubio, è stata un’altra grande costante della sua vita, anche nella sua ultima nuotata nel lago Balaton.
Ciao Ágnes, grazie.
Á. Heller, Il valore del caso. La mia vita, Castelvecchi, Roma, 2019.
Grazie a Castelvecchi editore
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