L’esistenza è una deiscenza: il sesso secondo Nancy
«Probabilmente non può esserci un trattato sul sesso: non si lascia cogliere come un oggetto che abbia un aspetto biologico, un aspetto psichico e un aspetto morale o spirituale. Tutto questo esiste, certamente, così come esistono sessuologie, le sociologie dei costumi, le psicanalisi. Ma “il sesso” designa un’altra cosa: una linea di forza o di fuga che attraversa tutta l’esistenza, attraversando anche i sessi, al plurale, e le sessualità. Quella linea che permette, come diceva Merleau-Ponty, che “la storia sessuale di un uomo fornisca la chiave della nostra vita” – anche se questa chiave apre su abissi o spazi intersiderali.»
L’Avvertenza, scritta da Nancy, ci introduce alla lettura del suo libro, Del Sesso, che si presenta come un insieme di saggi riuniti tutti sotto un unico interrogativo: “cos’è il sesso?“.
Attraverso un’analisi intratestuale, in particolar modo, tra i due scritti Sexistence e C’è rapporto sessuale – e poi, scopriamo una filosofia che parla di un corpo sessuato e dell’importanza della dimensione sessuale nella vita di ogni persona.
Il nesso, quindi, tra sesso e vita umana – intesa come vita plurale e singolare – è l’oggetto principale del libro, poiché il rapporto sessuale attraversa tutta la nostra esistenza e la delinea.
Secondo il filosofo francese, esistono tre tipi d’amore: philia, agapè e caritas e a questi ne aggiunge un quarto: «c’è quello che si fa».
I primi tre sono illimitati, incondizionati, disinteressati e potremmo inserirli nell’insieme della cura dell’altro/a e poi c’è quell’amore che si fa, citando sempre le parole del filosofo, cioè quell’amore che si fa eros, che si muove verso il desiderio, che ha comunque una parte in comune con la precedente trilogia amorosa.
Sia l’insieme della declinazione dell’amore, che l’amore fattosi eros, sono caratterizzati dallo slancio verso l’altro/a senza prospettiva, in cui non viene fissato lo scopo né tanto meno si ha la conoscenza dei mezzi per raggiungerlo. Si tratta semplicemente di arrivarci, sapendo che non è importante la meta. E nell’eros questo si manifesta, nel suo apice, con il desiderio.
Nancy ci ricorda che desiderare vuol dire «smettere di contemplare gli astri», ovvero «prendere atto dell’assenza di» qualcosa, per fare una considerazione, in questo caso specifico, che quel qualcosa che (ci) manca è il desiderio dell’altro/a.
Infatti, se ogni altro/a è il mio prossimo, la sua prossimità sembra giustificare l’attrazione, l’affetto e la scelta che faccio di lui/lei. Il prossimo è il mio motore, il demone dal quale mi sento posseduto e che dirige i miei sentimenti, i miei pensieri e le mie azioni. In me nasce il desiderio, lo slancio verso l’altro/a che non riguarda direttamente l’atto sessuale, ma tutte le forme dell’amore che vengono prima.
Il piacere, ad esempio, non è legato (esclusivamente) all’orgasmo ma, al contrario, a tutto quello che c’è prima, nel mezzo, e di cui ci prendiamo cura: tutto quello noto come incontro eccitante.
Tuttavia, si suppone che tutto l’impeto del desiderio raggiunga un grado di soddisfazione tale da potersi placare. Eppure, sappiamo perfettamente che la prossimità dell’altro/a è immediatamente sottratta più in là, in un’estraneità infinita, tant’è che questo desiderio non si esaurisce con il rapporto, non c’è soddisfazione totale, quell’abbastanza che ti riempie per tutta la vita.
«[…] l’amore presenta un’identica necessità d’infinito: non vuole mai farla finita perché è del non finire che si nutre, del non limitarsi a ciò che io posso essere, possedere e fare. Fare l’amore vuol dire disfare il mio essere, il mio possesso, la mia opera, è fare una non – opera assoluta.»
L’amore è la necessità dell’infinito senza limitazioni e fare l’amore vuol dire disfarsi del proprio essere, del proprio io integro e creare il “non” assoluto. Afferma Nancy, che il sesso è legato al desiderio che deve essere rinnovato continuamente. Freud lo chiamerebbe coazione a ripetere: il piacere sessuale ci spinge a una nuova ricerca.
Paradossalmente accade che più il piacere sessuale è soddisfacente, più non si è mai abbastanza appagati, per cui si continua a cercarlo: il rapporto sessuale è ripetitivo e illimitato.
In questa riflessione sull’amore sessuale non c’è traccia del pensiero schopenhaueriano che riduce e condanna l’eros all’eterna riproducibilità di esemplari di specie umana. Fare l’amore non ha il fine nella procreazione, anzi, sembrerebbe non avere alcun fine, per cui, nell’atto sessuale, si può solo godere di ciò che accade.
Tuttavia, una possibile finalità del sesso, potrebbe essere il desiderio dell’altro/a, in maniera più esplicita, un desiderio di alterità.
Non si fa sesso solo per essere soddisfatti, anche perché non lo si è mai abbastanza, ma perché c’è incessantemente qualcosa da fare e che non si smette mai di voler fare: in altre parole, fare il desiderio che ci richiama sempre.
L’eccitazione sessuale, con tutta la sua forza animale e la sua violenta emozione, rappresenta un’inquietudine ontologica del rapporto che viene portato dove non se ne può mai fare abbastanza e dove c’è sempre qualcosa da fare e che non può smettere mai di volersi fare.
Perché il meccanismo del desiderio è molto più piacevole finché non si consegue e si cerca di afferrarlo, a pieno, tutte le volte. Noi facciamo sesso perché è un atto, un sentire, un’eccitazione. Fare l’amore è un agire, senza sapere dove ci porta e senza sapere perché lo facciamo.
Cosa facciamo, quindi, quando facciamo l’amore? Noi non facciamo niente nel senso di produrre qualcosa, come fare un figlio. L’amore è un atto, certo, ed è questa la sua attualità. Questa non va intesa in senso temporale, ma aristotelico: tra potenza e atto. L’amore, che si presenta anche nella forma del rapporto sessuale, è una potenza che si attualizza, si fa atto.
L’amore erotico esige di essere portato a termine: è un atto che chiama il desiderio del nostro contatto che deve essere compiuto. Ma questo desiderio non verrà mai del tutto soddisfatto, per cui ne cercheremo ancora.
Fare l’amore è l’effettività dell’amore: nessuna dichiarazione potrà mai raggiungerla. È diverso dal fare la dichiarazione d’amore: fare l’amore è il solo atto che trascende la dichiarazione stessa. Almeno una cosa, così, è certa: «L’amore non può essere soltanto detto, il suo stesso dire deve essere un fare. “Ti amo” è un atto performativo: fa ciò che dice». L’amplesso si limiterà ad aggiungere un dire in eccesso, che performa il proprio limite.
L’amore erotico è l’unico atto performativo che supera la dichiarazione.
Il sesso, che è desiderio e rapporto con l’alterità, è un abisso e una violenza. L’amore sessuale è un posizionarsi instabilmente «sul bordo di un ‘fare’ che fondamentalmente non fa che toccare il duplice al di là dell’animale e del divino, due nomi che non dicono altro se non che l’esistenza è la sua stessa deiscenza, una sexistence».
Deiscenza è un’apertura naturale, una dischiusura. Tale deiscenza come sexistence ci espone ogni volta, ripetutamente alla violenza e all’abisso dell’intimità con l’altro/a che può darsi solo e soltanto nel mondo dei corpi.
Proprio per questo abbiamo assistito, con il cristianesimo, alla dissimulazione del sesso: per nasconderne la caratteristica peculiare. Questo atteggiamento ha una valenza sacra.
Perché nel cristianesimo, la religione dell’amore, c’è il divieto del sesso? Perché essa prevede una sublimazione dell’amore. Infatti, se l’unico amore che conta è quello di Dio rivolto al creato, ovviamente, viene relegato nella mediocrità qualsiasi amore non divino e, quindi, l’amore come eros.
Ma, al contempo, l’amore divino chiama ogni sua creatura a diventare quell’amore erotico.
Amore come caritas e amore come eros non possono essere contemplati insieme, ma non possono nemmeno negarsi del tutto: vale il comandamento ama il prossimo tuo. Poiché, in un certo senso, «si deve pure amare ciò che si desidera e desiderare ciò che si ama».
Per quanto occultato, il sesso nell’amore cristiano esiste e l’amore erotico resiste perché l’origine, dell’amore sacro e dell’amore profano, è lo stesso: desiderare l’altro/a e amarlo/a.
«Dio crea per amore e questo amore vuole tornare a sé all’infinito». Non solo l’amore cristiano, ma anche l’amore erotico si dispiega nel non-finito. Inoltre, la totalità dell’amore si misura nella preferenza: così come l’amore ha scelto noi, noi dobbiamo scegliere l’amore. L’amore ordina che lo si preferisca, come esso stesso ci ha preferito.
«C’è un debito, il dovere di restituire l’amore ricevuto e, al tempo stesso, questo amore ricevuto costituisce una specie di credito illimitato: l’amore rivendica sé stesso ovunque, in tutti. Vi è dunque una specie di totalitarismo, un’economia totalitaria dell’amore, dietro quale peraltro non è certo indifferente veder profilarsi un’economia del profitto».
L’amore dà e riceve, perché la relazione amorosa prevede una contropartita: questa è la sua economia totalitaria. È a partire da questo che è possibile comprendere come il sesso si manifesti al mondo con una foga e un’intensità mai conosciute altrove. Esso è carico di tutta l’energia che nessun impeto divino può più assumersi e che non raccolgono nemmeno più le macchine-persone adibite alla produzione-riproduzione.
Concludendo, è molto difficile definire dove finisca il sesso attraverso tutti i nostri rapporti, attività e atteggiamenti, perché esso attraversa tutta la nostra vita.
BIBLIOGRAFIA
Jean-Luc Nancy, Del sesso, traduzione a cura di A. Moscati I. Porfido G. Valle, Napoli, Cronopio, 2016.
Per le fonti delle citazioni si fa momentaneamente riferimento al testo Del sesso citato in bibliografia.
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