Il rapporto tra l’individuo e il luogo che egli definisce “casa” è estremamente complicato. Infatti, la casa non è solo un qualcosa di fisico, non è solo il mero nascere e crescere in un preciso posto del mondo, ma è anche viverlo, scegliere consapevolmente di appartenergli, anche perché non è affatto scontato che si debba identificare come “casa” il luogo dove si è nati.
Tutto ciò suscita negli esseri umani tanti sentimenti, talvolta anche contrastanti fra loro.
L’appartenenza a un luogo non è mai un qualcosa di scontato e stabile nel tempo: per esempio, c’è chi si allontana dalla propria terra d’origine perché vive il suo essere fisicamente lì come una prigione e trova altrove la propria dimensione; ma c’è anche chi, una volta andato via, si rende conto, grazie alla distanza e alla riflessione consapevole, dell’importanza delle proprie radici.
In generale, è insito nell’essere umano un legame quasi viscerale con ciò che egli riconosce come “casa”, che lo porta a identificarsi con essa ovunque egli si trovi, perché anche se si sceglie di andare via, iniziano a scattare tutta una serie di meccanismi di assunzione dei modelli culturali e delle abitudini cosiddette “di casa”. Tutto ciò rende il rapporto individuo-casa problematico, non risolto. Lo stesso parlarne risulta complicato, perché si ha a che fare con un legame sentimentale, un qualcosa di estremamente complesso da maneggiare e impossibile da razionalizzare, perché il sentimento è di per sé qualcosa di non logico, non quantificabile e non scevro di contraddizioni.
“Sardi, italiani? Europei”, edito da Meltemi (2018), si propone di affrontare questa tematica molto complessa facendo un viaggio antropologico nella Sardegna e nelle sue molteplici culture attraverso una via originale: il dialogo.
Infatti, il libro si compone di tredici conversazioni, registrate e trascritte tra il 2014 e il 2017, in cui l’autore, Giacomo Casti, si propone di intervistare tredici personaggi noti in Sardegna (ma non solo) circa la questione dell’appartenenza, come si evince dal titolo, volutamente provocatorio, in quanto rileva la triplice identità del popolo sardo: in primis quella propriamente biografica, ovvero l’essere nati in Sardegna; in secundis quella nazionale, dunque il fatto di essere cresciuti nel contesto culturale italiano, parlare la lingua italiana, frequentare le scuole italiane e studiare la storia italiana; in terzis quella europea, che riguarda la consapevolezza di essere solo un ingranaggio di una macchina più grande, di identificarsi culturalmente e storicamente come esseri umani facenti parte del mondo occidentale.
L’affrontare questioni antropologiche come l’identità, la lingua, l’indipendentismo attraverso il confronto, conferisce al libro un carattere dialettico, un movimento che rende tutte le conversazioni non dogmatiche e aperte al ragionamento costruttivo.
Ciò apre un confronto a due livelli: il primo è quello tra intervistatore e intervistato, in quanto il ragionamento è work in progress; il secondo è appannaggio dello stesso lettore che ha, in questo modo, la possibilità di osservare e ragionare sui diversi temi trattati da più punti vista, il che rende questo testo profondamente polifonico.
Affrontare tematiche complesse e spinose quali la lingua, la questione dell’indipendenza della Sardegna e la delineazione di ipotetiche utopie e distopie legate alla gestione del territorio, contribuisce a creare consapevolezza su che cosa significhi essere sardi oggi.
Spesso e volentieri gli stessi sardi tendono a considerarsi come marginali rispetto all’Italia, come italiani, sì, ma non a pieno titolo: questo anche perché nella storia italiana la Sardegna non ha mai occupato un ruolo di primo piano. In queste conversazioni, invece, sebbene non tutti gli intervistati si dichiarino favorevoli all’indipendentismo, si assiste a una rivalutazione positiva dell’isola, a partire dalla sua posizione geografica.
La Sardegna occupa una posizione centrale nel Mediterraneo: il mare che la circonda non deve essere per forza visto come un qualcosa di negativo, come un qualcosa che ostacola e che, appunto, isola. Il mare in questo senso diventa possibilità d’apertura al mondo, come unione e come interscambio culturale. In questo senso Cagliari, «la capitale della Sardegna», gioca un ruolo di primo piano in quanto è un porto, che per antonomasia dovrebbe essere un luogo aperto, che accoglie persone e culture provenienti da tutto il mondo (il condizionale non è usato a caso, dato che di questi tempi la questione sta diventando sempre più spinosa).
Il confronto con se stessi, in quanto popolo sardo, e con gli altri diventa un punto di partenza per ripensarsi, in quanto la scelta di appartenere a un luogo non deve mai escludere la possibilità di arricchirsi con altre culture e altri popoli.
Giacomo Casti, Sardi, italiani? Europei. Tredici conversazioni sulla Sardegna e le sue identità, Meltemi, Milano, 2018
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