Il feticismo viene generalmente definito come una forma di parafilia (1) consistente nello spostamento della meta sessuale dalla persona amata nella sua interezza a un suo sostituto. Il termine feticismo deriva dal portoghese fetisso che significa “feticcio”, con il quale venivano indicati gli oggetti materiali ritenuti sacri dalle popolazioni indigene africane.
Ma che cos’è il feticismo?
È da considerarsi una perversione sessuale (2) o è una manifestazione della sessualità che può caratterizzare le relazioni d’amore tra gli individui? Proverò a rispondere a queste domande analizzando la teoria psicosessuale di Alfred Binet.
Alfred Binet (1857-1911) è stato uno dei fondatori della psicologia scientifica francese e inventore del primo test per misurare l’intelligenza. Nel 1887 scrisse Il feticismo in amore, un’opera di importanza fondamentale per la psicologia della sessualità. In questo testo l’autore vuole dare una caratterizzazione scientifica al concetto di feticismo sia attraverso l’analisi di casi clinici che per mezzo dell’osservazione delle manifestazioni d’amore tra gli individui nella vita quotidiana.
Binet sostiene la continuità tra il normale e il patologico, di conseguenza la forma patologica del feticismo in amore viene descritto come un «aumento qualitativo di un fenomeno normale che oltrepassa una soglia misurabile e diventa anormale solo in questo modo» (3). Sulla base di questo presupposto distingue due tipi di feticismo: il grande feticismo che rappresenta il patologico e il piccolo feticismo che invece caratterizza una vita normale, della quale fanno parte manifestazioni feticiste che da un punto di vista quantitativo rientrano all’interno della “norma”.
Per l’autore tutti gli individui sono più o meno feticisti proprio perché vi è una quantità costante di feticismo anche nella forma di amore più sana e regolare. L’attrazione sessuale dei feticisti può essere diretta verso un oggetto inanimato, parti del corpo, e verso qualità caratteriali, psicologiche e intellettuali della persona amata.
Come si può distinguere il piccolo feticismo dal grande feticismo?
Binet afferma che nel feticismo patologico l’oggetto del desiderio diventa il centro assoluto della vita sessuale dell’individuo ed è spesso in preda di «impulsi irresistibili, involontari e incontrollabili» (4). Inoltre presenta una vera e propria astrazione dell’oggetto del desiderio dalla persona amata, perciò l’amore del feticista patologico non è individualista: «la perversione sessuale ha la caratteristica di generalizzare, e per questo motivo si oppone nettamente all’amore normale, che tende a concentrarsi interamente su una sola persona» (5). La malattia inizia a svilupparsi nel momento in cui l’amore di un dettaglio diventa assolutamente dominante da eliminare qualsiasi altra manifestazione sessuale con l’Altro.
Un ulteriore aspetto innovativo dello studio di Binet sul feticismo è il fatto di darne una spiegazione psicologica, a differenza della letteratura medica e scientifica del suo tempo che lo definiva come una forma di degenerazione mentale che aveva cause biologiche e ereditarie. Binet sviluppa un’ipotesi alternativa rispetto alla tradizione affermando che la formazione di tendenze feticiste nell’individuo è dovuta a «un evento accidentale, che in se stesso è del tutto insignificante» ma che «arriva ad assumere dei tratti profondi e perfino indelebili nella memoria» (6).
La psicoanalisi ancora non era nata, per cui non si può ancora parlare esattamente di inconscio ma di “associazione inconscia” per cui il ricordo dell’evento che ha scaturito il comportamento feticista si affievolisce con il passare del tempo fino a che solo l’oggetto del feticismo (frutto dell’associazione di idee inconsce) rimane presente nel pensiero dell’individuo.
Ovviamente nemmeno i filosofi sono esenti da casi particolari e curiosi di amore feticistico.
Nella sezione dell’opera riguardante l’amore plastico, ovvero il desiderio che si prova nei confronti di parti del corpo della persona amata, Binet analizza il caso di piccolo feticismo di René Descartes. Cartesio aveva una forte attrazione per gli occhi delle donne, in modo particolare per coloro che possedevano la caratteristica dello “strabismo di venere”. Il primo amore del filosofo fu infatti una ragazza che aveva proprio questa peculiarità fisica, che lo aveva talmente colpito da ricercarlo poi successivamente anche in altre donne.
Nella sezione del culto feticista delle qualità psichiche, definita amore spiritualista, Binet tratta il caso di Jean-Jacques Rousseau, che lo stesso filosofo analizza molto attentamente all’interno de Le confessioni. Qui espone anche la genesi di quella che lui riteneva la propria perversione sessuale: risale all’età di 8 anni, quando si trovava sotto la custodia del pastore Lambercier e di sua sorella, la quale era solita a infliggergli punizioni fisiche. Rousseau scrive infatti:
«Chi crederebbe mai che quel castigo infantile, ricevuto a otto anni dalla mano di una donna di trenta, ha deciso dei miei gusti, dei miei desideri, delle mie passioni, di me stesso per il resto della vita, e precisamente nel senso contrario a quello che avrebbe dovuto naturalmente derivarne? […] Tormentato gran tempo senza sapere da che, divoravo con occhio infiammato le belle creature; l’immaginazione me le richiamava senza tregua, solamente per farle agire a modo mio e farne altrettante signorine Lambercier».(7)
Quel determinato episodio creò nel filosofo delle “ruminazioni erotiche” nei confronti delle donne che presentavano un carattere dominante, autoritario e severo e che potessero sfogare su di lui violenze verbali e fisiche. Binet afferma che l’atto doloroso e traumatico può diventare voluttuoso proprio mediante il meccanismo dell’associazione delle idee con determinati sentimenti sessuali.
Il merito della teoria sul feticismo di Alfred Binet, nonostante sia ampiamente superata a livello medico-scientifico, è quello di aver compiuto una rivoluzione in ambito psicosessuale.
Nel considerare come possibile diagnosi del comportamento feticista una spiegazione psicologica e non ereditaria, e nel non voler demarcare un confine preciso tra il normale e il patologico, poiché l’individuo è sempre un continuum dei due aspetti.
(1) Con il termine parafilia si intendono tutti quei comportamenti psicosessuali atipici per i quali chi ne è affetto deve perseguire fantasie o compiere atti anomali per ottenere soddisfazione sessuale. Il termine “parafilia” entra nel linguaggio medico-diagnostico solo a partire dalla terza edizione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), nel 1980: da questo momento si inaugura una categoria meno invalidante. In precedenza ogni comportamento che deviava da ciò che il senso comune riteneva “normale” veniva etichettato come “perversione”, un termine improprio dal punto di vista diagnostico e con forte connotazione di giudizio morale. Cfr. F. Quattrini, Parafilie e devianza, Giunti, Firenze, 2017
(2) L’espressione “perversione sessuale” è stata ripresa dalla teoria psico-sessuale di Alfred Binet, ad oggi a livello medico-scientifico si preferisce utilizzare il termine “parafilia” (come potete leggere nella nota precedente
(3) Alfred Binet, Il feticismo in amore, a cura di Paolo Savoia, Edizioni ETS, Pisa, 2011, p. 29.
(4) Ivi, cit. p. 46.
(5) Ivi, cit. p. 47.
(6) Ivi, cit. pp. 42-43.
(7) Ivi, cit. pp. 94-95.
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