Basi militari: la Sardegna e i suoi veleni

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Spiaggia di Murtas a Quirra foto Nicoletta Pucci per FIlosofemme

Ogni volta che pensiamo alla Sardegna ci vengono in mente il mare con la sua acqua cristallina, le spiagge bianche e le chilometriche coste; ci vengono in mente il profumo della macchia mediterranea e le specialità gastronomiche che questa terra ci offre. In generale, possiamo dire che la Sardegna, nell’immaginario più comune, è la terra del sole, del maestrale e del mare.


Purtroppo però, anche questo paradiso terrestre risente delle tracce infernali lasciate dagli esseri umani.


Vorrei infatti parlare, senza avere la pretesa di essere esaustiva, di un argomento di cui non si sente spesso: quello delle basi militari. Per farlo nel migliore dei modi, partirò dal principio.

Nel 1943 le truppe tedesche si ritirarono dalla Sardegna e, all’alba della fine della Seconda Guerra Mondiale, l’isola fu oggetto degli interessi strategici degli americani che volevano installare basi militari di addestramento.

L’Italia, che durante il ventennio fascista si era macchiata delle nefandezze che tutti conosciamo, non aveva di certo il potere di negare loro qualcosa, anche perché, d’altra parte, «la Sardegna era un’ottima pedina sacrificabile, sia per ragioni geografiche, sia per ragioni demografiche e anche per la facilità di persuadere alla remissività la sua classe dirigente» (1).

Dunque, essendo un’isola scarsamente popolata rispetto al resto d’Italia, nella Sardegna degli anni ’50 iniziarono gli espropri per le installazioni delle basi militari americane, con la conseguente sottrazione di ettari di territorio e zone costiere, di inestimabile valore e bellezza, limitrofe ai poligoni.

In particolare ciò avvenne a Quirra, regione storica situata nella parte centro-orientale dell’isola, dove nel 1956 fu edificato il Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ), nonché il più grande poligono d’Europa; a Teulada (SU), secondo per grandezza solo a Quirra; e Capo Frasca (SU) (2).


La Sardegna ospita ben il 60% del demanio e delle servitù militari di tutta Italia e nel corso degli anni non sono mancati gli incidenti: questo dovrebbe far sorgere delle domande sulla liceità di questi insediamenti.


Il 25 ottobre 2003, il sommergibile atomico statunitense USS HARTFORD (di 6.900 tonnellate) si schiantò contro la Secca dei Monaci, non lontano da Caprera: gli abitanti de La Maddalena sentirono un boato fortissimo, dapprima raccontato come un terremoto. Solo successivamente venne a galla la verità.

Nell’ottobre 2005, un caccia Amx decollato dall’aeroporto militare di Decimomannu (CA) ebbe un’avaria che costrinse il pilota a sganciare armi e carburante e a gettarsi col paracadute. L’aereo precipitò in un campo di carciofi appena fuori Decimoputzu. Nel 2000, soldati in tute mimetiche sconfinarono dal campo di addestramento del poligono di Teulada imbattendosi nei pescatori di un allevamento di anguille. Nel 2003 un Hawk si schiantò in una vigna di Jerzu (NU) (3).

Di episodi come questi se ne potrebbero raccontare tanti e non si parla solo di potenziali vittime civili innocenti, ma anche dei disastri ambientali che queste esercitazioni e guerre simulate si portano dietro con ovvi danni alla salute, sia dei civili, sia degli stessi militari.

Nel 2011 la Procura di Lanusei, a seguito di una serie di denunce per morti sospette tra coloro che vivono nelle zone limitrofe ai poligoni, tra i familiari degli stessi militari e tra i pastori, che avevano riscontrato gravi malformazioni dei loro capi di bestiame (tra cui idrocefalia, presenza di sei zampe o due teste), aprì un’inchiesta sulla cosiddetta sindrome di Quirra: vennero indagate una ventina di persone con l’accusa di omicidio plurimo e disastro ambientale. Dapprima vennero sequestrati alcuni obiettivi, poi intere aree del PISQ per accertare collegamenti tra l’alta percentuale di morti e le sperimentazioni interne al poligono.

Le indagini rivelarono la presenza di metalli pesanti quali cadmio, piombo, tungsteno, antimonio e altri in valori oltre la soglia, risultanti sia dalle operazioni di brillamento degli esplosivi, sia dall’interramento indiscriminato dei rifiuti militari pericolosi in forma di polveri sottili, le quali, insinuandosi ovunque, avrebbero inquinato i territori e le falde acquifere.


Dalle testimonianze di alcuni militari emerse anche l’utilizzo di munizioni all’uranio impoverito e furono riesumate le salme di venti persone morte tra il 1980 e il 2010 a causa di tumori al sistema emolinfatico.


Problematiche furono a questo proposito le dichiarazioni fatte da alcuni esponenti come l’ex ministro della Sanità Umberto Veronesi, il quale dichiarò che l’uranio «uno se lo può mettere in tasca. È debolmente radioattivo in condizioni naturali» (4), senza considerare che l’uranio che si può trovare in natura è ben diverso da quello utilizzato per le esercitazioni belliche.

La questione è molto complicata: il percorso verso la verità, infatti, non è solo pieno di ostacoli, ma sono stati messi in atto dei veri e propri depistaggi. Ad oggi sono indagate otto persone con l’accusa di imperizia e sono in molti a sottolineare il fatto che in Sardegna non esista ancora un Registro regionale dei tumori (5).

La situazione è simile anche nel poligono di Teulada, nato per esercitazioni terra-mare-aria e diviso in quattro zone: Alfa, Bravo, Charlie e Delta, nella quale non solo è stata rilevata la presenza di torio (sostanza radioattiva ed estremamente nociva per la salute), ma è stata dichiarata non più bonificabile, sia per gli elevati costi, sia per l’effettiva impossibilità di intervenire in un’area così martoriata dalle simulazioni di guerra da oltre sessant’anni (6).

Ricostruire accuratamente i fatti e fare luce su quanto è accaduto e accade in queste zone è un obbligo morale che lo Stato deve avere nei confronti dei sardi e di tutte le persone che sono morte a causa dei poligoni:


tutti devono avere il diritto di conoscere la verità.


Sensibilizzare al problema è di vitale importanza per non perdere la percezione della realtà: tra i sardi si è radicata la retorica che le basi militari abbiano generato progresso e posti di lavoro, ma in realtà non è così.

Infatti, da anni ormai l’isola è soggetta a spopolamento e si è rilevato che nei paesi dove sono presenti i poligoni la popolazione risulta dimezzata (7).

E mi duole ricordare che i veleni che devastano la Sardegna non sono solo quelli dei poligoni militari, ma anche quelli dei poli industriali realizzati con l’approvazione, nel 1962, del Piano di Rinascita, un tentativo fallito di industrializzare l’isola costruendo industrie petrolchimiche a Porto Torres (SS), Portovesme (nel Sulcis-iglesiente), la famosa Saras a Sarroch (CA) e ad Ottana (in provincia di Nuoro, ma poi dismessa), che, sì, per un po’ di tempo portarono nuovi posti di lavoro, ma a che prezzo (8)?

Quello di un’industria scellerata e non curante dell’ambiente e del territorio, che non si è posta nessuno scrupolo a creare discariche a cielo aperto e ha trascinato con sé solo devastazione, precariato, cassintegrazione, e morte.

La salute deve essere più importante di un posto di lavoro, così come quest’ultimo dovrebbe nobilitare l’uomo e non ucciderlo.

È davvero sulla guerra e sull’industria incontrollata che vogliamo investire?




(1) O. Onnis, Tutto quello che sai sulla Sardegna è falso, Arkadia, 2013, pag. 130

(2) Cfr.  http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_26_20051107122255.pdf

(3) Cfr. M. Brunelli, C. Porcedda, Lo sa il vento. Il male invisibile della Sardegna, Verdenero, 2012, pagg. 24-25, 88

(4) Ivi, pagg. 42-59 e 132

(5) Cfr. all’url: http://www.antimafiaduemila.com/home/di-la-tua/238-senti/73998-sardegna-l-inferno-in-paradiso-i-veleni-di-quirra.html

(6) La procura di Cagliari aprì un’inchiesta per disastro ambientale, a seguito anche di una relazione dell’Arpas stilata da Massimo Cappai che, oltre a segnalare un eccesso di mortalità nell’area rileva che «il suolo del poligono non è considerato inquinato da metalli pesanti solo perché una modifica della normativa del 2013 ha assimilato le aree militari ai siti di tipo industriale, innalzando le soglie di contaminazione del suolo fino a 100 volte». Cfr. https://aforas.noblogs.org/files/2017/10/Dossier-Teulada.pdf

(7) Per ulteriori approfondimenti si consiglia la lettura del Dossier su Teulada curato da A Foras, disponibile all’url: https://aforas.noblogs.org/files/2017/10/Dossier-Teulada.pdf

(8)  Quello dell’industrializzazione è un problema altrettanto spinoso e complesso che meriterebbe uno spazio a sé stante non solo un breve accenno, per cui consiglio la lettura di M. Brunelli e C. Porcedda sopra citata per approfondire l’argomento.

L’immagine in copertina, scattata dall’autrice dell’articolo, è la Spiaggia di Murtas a Quirra: quasi due chilometri quadrati di fondale sono finiti sotto sequestro a causa del ritrovamento di una discarica di residuati bellici.