Fumo

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Pausa caffè. Dovrei finire una cosa, ma non sono ispirata, quindi pausa caffè. E sigaretta. Immancabile binomio. Una volta mi hanno detto che nessuno è mai riuscito a capire con quale logica il fumo della sigaretta disegni i suoi ghirigori (che sia vero, non so): guardandolo mi domando perché continuo a fumare. Fa male alla salute, questo ormai è risaputo.

Abitudine? Sicuramente, è un gesto difficile da eliminare, pieno di un fascino inesplicabile.

Un diversivo per evadere per pochi minuti da una situazione scomoda? Uh, eccome.

Un momento in cui isolarsi tanto quanto una goduta complicità in compagnia.

Una Storia d’amore, quella che si instaura tra il fumatore e quel concentrato di male che tiene tra le mani.


Che cosa ha rappresentato fumare nel corso del tempo?


Un particolare status sociale: nobiltà, quando permettersi il sigaro era un lusso da imprenditore; distrazione, quando il soldato in rotta per l’Etiopia fumava una Me ne frego (1) pensata da un marketing ancora senza etichetta inglese proprio per i militari; modernità, quando una signora accendeva una Eva nel salottino di casa – e trasgressione se lo faceva in pubblico; uno scrupolo in più, quando un operaio fumava una Marlboro Light o una MS solo fuori dal ristorante, che dentro non si poteva più; sesso, quando anche le prime pubblicità abbondavano di pose femminili seducenti, rossetti rossi come la brace della sigaretta; “fare figo”, quando un millennial di seconda generazione tossisce il primo tentativo di aspirare una Camel.


E come è stato rappresentato, letteralmente, nel corso del tempo questo prodotto del Nuovo Mondo che viene a rispondere all’europea “Età dell’Ansia”?


Dallo Stato in maniera ambigua: da un lato spinge al consumo con il suo Monopolio, dall’altro mette in guardia sui rischi. L’arte riflette la società e sulla società: «Nel fumo al cinema e in letteratura possiamo leggere i rapporti di classe e di genere nel corso del tempo» (2). Si pensi all’ossessione dello Zeno di Svevo, alla borghesia decadente dipinta dagli Indifferenti di Moravia.

Un fumatore che legge su una copertina di un libro la parola FUMO – in rosso e in maiuscolo – teme che nuovamente gli venga propinata la morale (giusta, ma dura ad accettarsi) del divieto, consapevole di fumare non per ignoranza del rischio, ma per menefreghismo (vedi nota).

Invece, inaspettato e affascinante, meticoloso, attraente si dimostra Fumo.


La storia d’amore tra gli italiani e la sigaretta di Carl Ipsen, in grado di svelarci – in capitoli abbinati ognuno a una marca di sigarette – cosa realmente disegnino i ghirigori del fumo della pausa caffè.



Grazie Mondadori Edu!

Carl Ipsen, Fumo. La storia d’amore tra gli italiani e la sigaretta, Le Monnier, Firenze, 2019, p.257.






(1) “Me ne frego” era un celebre motto dello squadrismo, ma anche il nome di una marca di sigarette prodotta in Egitto per i soldati diretti in Etiopia. L’autore del libro recensito sceglie questa marca come titolo di un capitolo per rappresentare l’atteggiamento che molti italiani fumatori mantengono di fronte ai comprovati rischi derivanti dal fumo. Cfr. Carl Ipsen, Fumo. La storia d’amore tra gli italiani e la sigaretta, Le Monnier, Firenze, 2019, p.273, 8 nota 6.

NB: I marchi di sigarette presenti nell’articolo sono citati esclusivamente a scopo divulgativo, ossia per la comunicazione dei concetti espressi nel libro in questione. Filosofemme e l’autrice non intendono incentivare in alcun modo la pratica del fumare e prendono le distanze da qualsiasi strumentalizzazione del presente contenuto. Nessun provento economico è stato realizzato dall’utilizzo dei marchi e/o dalla recensione del libro.