Sei proprio un maiale!

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Anno 2018. L’umanità vive un momento di grande e lenta trasformazione nei confronti degli animali. Sempre più indirizzati verso un’ottica del rispetto e del riconoscimento dei diritti, ci siamo approcciati a queste tematiche a livello legislativo con il trattato di Lisbona del 2009 (che riconosce gli animali come esseri senzienti). Ma a livello linguistico, siamo altrettanto propensi verso un cambiamento positivo?

Non esattamente.

Quante volte abbiamo apostrofato negativamente una persona con “sei proprio un maiale!” o “sì, ma quella è un’oca”!

L’accostamento con il mondo animale è spesso utilizzato (a parte significative eccezioni)  con una funzione dispregiativa o denigratoria, per identificare esseri umani con caratteristiche inferiori, segnando una forte presa di distanza da quelle che sono invece le virtù considerate prettamente “umane”.

Ma da dove nasce tutto ciò?

Per poter spiegare in maniera esaustiva quali sono i fattori concomitanti, servirebbe certamente un simposio di umanisti. Tra le linee guida che si possono pertanto offrire per entrare in confidenza con l’argomento suggerirei tre grandi nuclei di influenza culturale: religioni, credenze popolari e distorsione linguistica.

Certamente i testi principali di ebraismo, cristianesimo e islam hanno versi ricollegabili alla pietà verso gli animali, ma nei piccoli dettagli si annida l’insidia: vi sono anche episodi in cui si sente la necessità di distanziare ancora di più lo status umano da quello animale. Nel Vangelo di Matteo [1] Gesù guarisce due indemoniati assecondando il desiderio dei demoni di entrare nei corpi dei maiali in una mandria poco distante [2]. Una volta pervasi dagli spiriti maligni, tutto il branco si getta da un dirupo. Nel Corano, Allah trasforma un gruppo di ebrei che vivono su Aqaba in scimmie, per sottolineare la condizione di abiezione in cui si ricade con comportamenti errati [3]. Precedentemente alle religioni monoteiste, è arcinota la tradizione del sacrificio ‒ sempre animale. In generale, però, l’antropocentrismo è il fattore per cui l’uomo sente di potersi elevare rispetto alla condizione di tutte le altre creature e, contemporaneamente, avverte anche la necessità di allontanare tutto ciò che è grottesco e ritenuto “bestiale”.

Le caratteristiche negative che l’uomo affibbia, però agli animali, sono realmente fondate? Esistono davvero?

Per una questione di spazio e tempo, prenderò come esempio i due animali che citavo precedentemente: l’oca e il maiale.

OCA
L’oca è un animale impiegato sempre più spesso come “animale da guardia”, la versione piumata di un cane. Grazie a vista e udito molto sviluppati, riesce a individuare senza alcun problema un eventuale invasore del tuo territorio e il suo grido è ben riconoscibile come minaccioso da chiunque. Di certo l’oca padroni non ne ha: l’umano che decide di ospitare questa sentinella a casa sua, viene visto come parte del gruppo, mai come superiore o inferiore. Particolarmente interessante è un aneddoto sull’”oca giuliva” ‒ in inglese silly goose: Jeffrey Moussaieff Masson riporta come in realtà l’Oxford Encyclopedic Dictionary sottolinei che l’attuale utilizzo di silly, sciocco, non sia quello originario. Silly indicava un individuo per cui provare empatia, e silly goose era pertanto l’empatia provata per un’oca che stava per essere uccisa [4].

MAIALE
Di tutte le creature, forse il maiale è quello più ricoperto di infamia gratuita.
pot-bellied-pig-2413454_1920.jpgIl suo aspetto tozzo e grassoccio non l’ha aiutato nella considerazione dovutagli, ma tra le tante caratteristiche che lo rendono un animale straordinario, troviamo il fatto che sappia riconoscere il proprio nome [5], sognare e distinguere i colori [6]. La credenza che il maiale sia un animale sporco, deriva sia dal fatto che raramente potrebbe capitarci oggi di vederne esemplari
liberi e qualora dovesse capitare, saranno alla ricerca di un po’ di fango in cui rotolarsi. Esattamente come l’elefante, il nostro amico grufolante soffre molto il caldo e ha pertanto necessità di mantenersi refrigerato. L’acqua ha il brutto vizio di evaporare subito, mentre il fango crea uno strato protettivo sulla pelle non solo dai raggi solari, bensì anche da insetti e parassiti [7]. Il maiale risulta così essere un animale sudicio solo nel momento in cui lo costringiamo in piccoli spazi per allevarlo a nostro piacimento: se libero, in realtà, il maiale si allontana parecchio per espellere i propri bisogni ‒-  detesta defecare dove mangia! [8]

Chiaramente gli stereotipi sono difficili da scardinare, anche quando poggiano su basi non solide, ma sono radicati nella cultura popolare. Nel corso della storia, diversi sono stati i filosofi che si sono schierati a favore della soggettività animale, ma di questo avremo modo di parlarne in un altro articolo. È pertanto vero che la necessità di aiutare il linguaggio a svilupparsi e a crescere insieme alla nostra cultura è fondamentale, poiché solo strappando questo velo di Maya, si potrà raggiungere un nuovo livello di evoluzione.

Se Ghandi diceva che «la grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui essa tratta gli animali»,

Plutarco prima ancora sosteneva:

Se davvero pensate di essere più valorosi delle bestie, perché i vostri poeti chiamano «animo di lupo», «cuor di leone», «pari a un cinghiale nella forza» i migliori guerrieri e non dicono, nessuno, «cuore di uomo» a un leone, «pari a un uomo nella forza» a un cinghiale?

NOTE

[1] Matteo 8, 23.

[2] Nel Levitico 11 i maiali sono considerati animali impuri.

[3] Sūra II, al-Baqara, 65-66.

[4] Masson Moussaieff Jeffrey, Il maiale che cantava alla luna. La vita emotiva degli animali da fattoria, trad. Ghio Giuditta, Il Saggiatore, Milano 2009, pp. 171-172.

[5] Ivi, p. 35.

[6] Ivi, p. 29.

[7] Ibidem.

[8] Ivi, p. 31.

[9] Plutarco, Le virtù degli animali, trad. Antonella Zinato, Marsilio Editori, Venezia 1995, p. 59.