Rosvita di Gandersheim: donna di spicco alla corte di Ottone I
Vagando tra le bancarelle di un mercatino di libri usati, mi imbatto in un volume molto interessante: Tutto il teatro, di Rosvita. Questo nome mi suona familiare. Ci penso su e ricordo che, nel corso di una lezione di Filosofia Medievale, con uno sdegno tutto contemporaneo, avevo trovato molto divertente il fatto che la nostra Rosvita, nello scrivere alcuni drammi religiosi a finalità morale, si fosse sentita in dovere di fare ammenda perché, per esaltare la virtù, era stata costretta a descrivere anche la «deplorevole follia delle anime abbandonate a illeciti amori e la dolcezza ingannatrice di colloqui ai quali non ci è permesso neppure di prestare ascolto». Tra me e me – una me poco rispettosa e con categorie decisamente anacronistiche – mi figuravo che la povera Rosvita, sola e china sul suo scrittoio, si lasciasse trasportare dalle peggio nefandezze, per poi alzare le mani in nome della difesa della moralità. È evidente che mi sbagliavo, nel giudicarla e, infatti. ho acquistato il volume come mia personale maniera di chiederle scusa.
Ma andiamo con ordine.
Chi è Rosvita?
Della vita di Rosvita di Gandersheim, non si hanno molte notizie. Nacque verosimilmente attorno al 935 e morì nel 973. Fu canonichessa nel monastero di Gandersheim, «un piccolo, orgoglioso, indipendente principato guidato da donne»[1], che vantava una formazione culturale d’eccellenza. È bene precisare che come canonichessa, o virgo non velata, Rosvita godeva di una condizione privilegiata: in primo luogo non doveva portare il velo; in secondo luogo era soggetta meno strettamente alla regola benedettina, dovendo rispettare i soli voti di castità e di obbedienza e non quelli di povertà e di clausura. Proprio per questa condizione privilegiata e grazie al tramite della badessa Gerberga, nipote di Ottone I, ebbe la possibilità di frequentare la corte imperiale e di partecipare attivamente alla cultura del suo tempo come intellettuale educata alle discipline del trivio e del quadrivio e conoscitrice di Terenzio, Virgilio e Ovidio, Lucano e Orazio, Agostino, Boezio e Alcuino.
All’interno della corte era una donna stimata, tanto che, presumibilmente intorno al 962, le vennero commissionati i Gesta Othonis, un’opera storiografica che aveva la finalità di esaltare le gesta dell’imperatore. Altra testimonianza della stima di cui godeva si intravede in questa lettera, in cui si rivolge ai “sapienti protettori”[2] che avevano ben giudicato i suoi drammi:
«E invero non posso mostrare abbastanza ammirazione per la grandezza della vostra lodevole umiltà, né ricambiare degnamente la vostra splendida benevolenza e il vostro affetto verso di me, se considero che voi, allevati ai profondi studi della filosofia e ornati, come siete, d’ogni perfezione del sapere, avete ritenuta degna del vostro consenso l’opera di una povera e modesta donna […]»[3]
L’opera di Rosvita è di impronta religiosa e morale e, oltre ai già citati drammi e ai Gesta Othonis, comprende anche sette leggende, o poemetti agiografici, e i Primordia Coenobii Gandersheimensis, sull’origine del monastero di Gandersheim.
Il suo ruolo nella cultura dell’epoca non è però il solo aspetto interessante che la riguarda. Entrando nel vivo delle sue opere, e in particolare dei drammi, spicca il suo punto di vista, che è evidentemente femminile. I personaggi che predilige sono le donne, esaltate nelle loro qualità. Le sante martiri, in particolare, appaiono forti, agguerrite, capaci di sfidare l’autorità e il potere maschile pur di mantenersi virtuose. La donna, per Rosvita, rappresenta il polo positivo; l’uomo è invece il detentore del desiderio, della corporeità negativa, del peccato. Di certo l’opera di Rosvita non può essere letta come femminista – farlo sarebbe quantomeno anacronistico –, tuttavia è indubbio che, pur permeata della cultura fortemente religiosa del suo tempo, la nostra autrice abbia dato voce all’universo femminile. Il fatto che etimologicamente il suo nome significhi “voce altisonante” sembra, quindi, quasi un gioco del destino.
NOTE
[1] Dronke P., Donne e Cultura nel Medioevo, in Scrittrici medievali dal II al XIV secolo, Il Saggiatore, Milano 1986, p. 83.
[2] Rosvita, Tutto il teatro, Rizzoli, Milano 1952, p. 13.
[3] Ibidem.
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