Oggi, 5 ottobre 2018, ricorre la 24° giornata mondiale degli insegnanti: viene infatti festeggiata dal 1994, allo scopo di commemorare “la sottoscrizione delle Raccomandazioni dell’UNESCO sullo status di insegnante, la principale struttura di riferimento per i diritti e le responsabilità dei docenti su scala mondiale”.
Ha come obiettivo fondamentale “quello di suscitare riflessioni sul ruolo dei professionisti della formazione, sulle sfide che affrontano quotidianamente, sulle difficili condizioni di lavoro a cui sono spesso sottoposti”.
Il tema è Insegnare in libertà, dare maggior potere agli insegnanti.
Perché parlando di un insegnante si può parlare di potere?
L’onere di sviluppare futuri cittadini consapevoli spetta non solo alla famiglia – senza che si voglia sminuire il suo ruolo fondamentale – ma anche alla scuola (a partire da quella dell’infanzia fino agli ambienti accademici): se il rapporto docente-discente si sviluppa in maniera comprensiva e costruttiva, l’ambiente educativo diventa un secondo luogo di crescita, tanto del sapere quanto della persona.
L’insegnante è infatti una delle figure preponderanti nel ruolo di educazione dei giovani, dove per educazione intendiamo il senso letterale del latino educo: non soltanto istruire, ma anche formare, far crescere. Suo compito è sì quello di trasmettere un sapere, ma soprattutto quello di ispirare la volontà di sviluppare uno spirito critico nei confronti della realtà, di fornire i mezzi tramite i quali uno studente diventerà uomo, in grado di applicare autonomamente un criterio che ha fatto proprio nel relazionarsi con il contesto sociale di cui fa parte. In questo senso l’insegnante è detentore di un grande potere: nelle sue mani sta la decisione di scegliere un metodo di insegnamento che non sia passivo, ma attivo, collaborativo; che non si limiti a considerare gli allievi come tavole di cera su cui imprimere nozioni, ma interi mondi cui consegnare gli strumenti perché possano emergere e svilupparsi.
Non siamo lontani dal concetto di maieutica che Platone, per bocca di Socrate nel Teeteto, ha voluto spiegarci. Come un’ostetrica porta materialmente alla luce una vita, allo stesso modo un educatore porta alla luce la sapienza:
«La mia arte maieutica ha le stesse caratteristiche di quella delle levatrici: differisce solo per il fatto che […] si prende cura delle anime in travaglio e non dei loro corpi. Essa, poi, ha una capacità enorme: riuscire a verificare con ogni artificio se la mente di un giovane dà alla luce un pensiero illusorio e falso o se ne genera uno genuino e vero. Perché, sotto questo aspetto, io sono davvero nella stessa situazione delle levatrici: non genero sapienza.»
Teeteto (150b-150c)
Ci riferiamo alla sapienza, dunque, non soltanto come scienza delle cose, ma anche come pensiero in sé, come metodo per indagare il mondo esterno. Socrate, levatore della sapienza e nel nostro caso simbolo di ogni insegnante, si assume il compito di far emergere la volontà di conoscere correttamente, più che infonderla coercitivamente e acriticamente.
Purtroppo, la pregnanza della figura dell’insegnante-educatore sembra essere costantemente sotto pressione politica ed economica. Un taglio all’istruzione non è un risparmio: è una sottrazione alle basi utili a costruire un’evoluzione della società a lungo termine, dove i “grandi di domani” abbiano acquisito le competenze necessarie a sviluppare il loro potenziale e a conquistare il proprio (e giusto) posto nel mondo. L’insegnante cosituisce il motore di oggi della società di domani e grava sulle sue spalle la responsabilità di un’istruzione di qualità, dello spessore e della consapevolezza degli individui che forma: non è forse una ragione sufficiente perché l’importanza del suo ruolo-chiave venga ricompensata e riconosciuta?
FONTI
Platone, Teeteto, Feltrinelli, Milano 2005.
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