«Bisognerebbe non tanto cercare radici quanto mettere radici». (1)
Questa la premessa al piccolo pamphlet di Filippo La Porta, edito GOG, un prezioso spunto di riflessione per l’epoca contemporanea, sospesa tra il fervore nazionalista e la globalizzazione.
Cosa resta del concetto di patria, in un contesto come quello odierno? È possibile preservarlo?
Con l’ausilio della Filosofia e della Letteratura, La Porta delinea la sua tesi: il pensiero sulle origini non è un’operazione rivolta al passato, ma al futuro, ed è inscindibile dall’immaginario. Le uniche patrie sono quelle che possiamo immaginare, al di là dei confini etnici e territoriali, così da costruire delle forme di cittadinanza inclusive. Il punto di partenza non è un luogo fisico, ma l’utilizzo della volontà libera, capace di plasmare una patria ideale.
Ma perché parlare di patria e non semplicemente eliminarne il concetto? La società globalizzata ci mette di fronte a un forte senso di spaesamento e avere coscienza delle proprie radici è un antidoto allo smarrimento. Come sosteneva Simone Weil «[radicarsi] è forse il bisogno più importante e misconosciuto dell’anima umana». (2)
Da qui, la necessità di ripensare alle nostre radici, dai luoghi comuni sull’italianità, alla figura del patriota, spesso avvolta da una patina retorica e folkloristica.
Chi è il vero patriota? Colui che si rifà in modo passivo alla tradizione o chi è in grado di far collimare questa tradizione con il divenire del presente?
Un capitoletto del testo è dedicato ad Agnes Heller:
«Ci ricorda, tra molte altre cose, che noi tutti, donne e uomini, siamo individui di passaggio sulla terra, individui che sono capitati per caso in questa o in quella comunità, e il cui valore umano e la cui rettitudine morale sono qualcosa di profondamente indipendente dalla comunità nella quale sono appunto capitati per caso. […] La Heller sottolinea che è bene non considerare il nostro prossimo come la personificazione della sua comunità, del suo popolo, della sua religione, ma guardarlo invece come una persona che è lì per caso e di passaggio, e percepire noi stessi nella stessa maniera». (3)
Tra individuo e comunità, radici passate e radici future: l’inclusività deve passare per delle categorie nuove, che non stiano agli estremi ma nel mezzo.
Per tirare le fila: il testo di La Porta offre una visione non scontata, un ottimo punto di partenza per pensare a come vivere al meglio in una società aperta, che accolga i valori aggiunti del presente, a un’identità nazionale che spesso si configura come monolitica e statica.
Spesso si dice che per progredire, bisogna guardare al passato.
Non altrettanto spesso si precisa, però, che uno sguardo sensato sul passato, che vada alla ricerca attiva di esempi e insegnamenti, non può prescindere né dallo stato di cose presenti, né dall’idea di futuro che visualizziamo davanti a noi.
(1) p. 9.
(2) p. 17.
(3) p. 68.
Filippo La Porta, Alla mia patria ovunque essa sia, GOG, Roma, 2020.
Grazie a Gog Edizioni!
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