Per sempre dalla parte delle bambine

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Dal 2012, l’11 Ottobre è la Giornata Internazionale di Bambine e Ragazze, una ricorrenza che ha lo scopo di portare l’attenzione (e, in prospettiva, risolvere) una declinazione particolarmente grave della disuguaglianza di genere: l’insieme di comportamenti oppressivi, violenti e discriminatori di cui sono vittime, in tutto il mondo, le bambine e le ragazze. Costoro si trovano infatti all’intersezione di due particolari condizioni che ne provocano da sempre l’esposizione ad un duplice rischio.

Se da un lato, in quanto bambine, sono alla mercé degli adulti e delle loro decisioni, dall’altro, in quanto appartenenti al genere femminile, sono anche soggette a tutte quelle discriminazioni e violenze che vengono rivolte verso le donne in un contesto sociale patriarcale. Una bambina, in sostanza, è spesso percepita e trattata come un soggetto dotato di un duplice stato di minorità: come non-adulta e come femmina, il suo ruolo è quello di ubbidire a chi si arroga il diritto e l’autorità di decidere cosa sia opportuno per lei e la sua vita.

L’intersezione tra le due condizioni (femminilità e minore età) costituisce un unicum irriducibile alle tematiche dei diritti delle donne o dei minori e può essere compreso soltanto nella sua specificità.

Questo comporta, ad esempio, che in situazioni socio-culturali dove i diritti dei minori vengono abitualmente calpestati, per le bambine la vita sia ancora più difficile che per i coetanei maschi. Dati Unicef, ad esempio, riportano che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nei paesi in guerra le ragazze hanno una probabilità 2,5 volte maggiore di non frequentare la scuola rispetto ai bambini. Durante i conflitti, inoltre, le bambine sono maggiormente soggette ad abusi psicologici, fisici e sessuali, a forme di sfruttamento e di tratta, per il solo fatto di essere donne. Inoltre, bambine, ragazze e donne hanno minori possibilità di spostarsi autonomamente e di accedere a reti e informazioni essenziali. In tempo di crisi, servizi sanitari fondamentali per il benessere delle ragazze, come l’assistenza prenatale o gli articoli per l’igiene personale, sono spesso scarsi o del tutto assenti.

 

Inoltre, le minori sono involontarie protagoniste anche dei cosiddetti “matrimoni precoci”, una vera e propria violazione dei diritti umani che, secondo i dati Unicef, produrrebbe una condizione in cui nel mondo 700 milioni di ragazze si sono sposate in età minorile. Un terzo di queste (circa 250 milioni) avrebbe addirittura contratto matrimonio prima di compiere 15 anni, divenendo così quelle che colloquialmente vengono chiamate “spose bambine”. Al matrimonio precoce, che spesso si caratterizza per essere una vera e propria compravendita di sposa, seguono quasi inevitabilmente l’abbandono scolastico euna gravidanza altrettanto precoce spesso non voluta dalla ragazza stessa e pericolosa sia per la neo-mamma che per il suo bambino.

Le “spose bambine” sono innanzitutto ragazze alle quali sono negati diritti umani fondamentali: sono più soggette, rispetto alle spose maggiorenni, a violenze, abusi e sfruttamento. Inoltre, esse vengono precocemente sottratte all’ambiente protettivo della famiglia di origine e alla rete di amicizie con i coetanei e con gli altri membri della comunità, con conseguenze pesanti sulla sfera affettiva, sociale e culturale. Occorre essere consapevoli che le radici di questo fenomeno risiedono in norme culturali e sociali legate sia a pregiudizi di genere che a strategie sociali proprie delle economie di sussistenza, in primo luogo l’esigenza di “liberarsi” il prima possibile del peso rappresentato dalle figlie femmine ritenute meno produttive per l’economia familiare.

 

Tuttavia, se da un lato è vero che questi fenomeni sono caratteristici di un certo tipo di società, è necessario liberarsi del pregiudizio che le bambine occidentali, europee ed italiane si trovino in una condizione di parità rispetto ai bambini. Sebbene nella maggior parte dei casi esse non siano in effetti sottoposte agli stessi trattamenti disumanizzanti delle loro coetanee di altre parti del mondo, gli stereotipi e le aspettative di genere agiscono ancora in modo per li più indisturbato anche su di loro. La progredita Europa è ancora il luogo dove solo un terzo delle ragazze sceglie di specializzarsi nello studio delle STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica). Il pregiudizio secondo il quale le donne (e dunque le bambine) siano più sensibili, più emotive, più creative (e, di conseguenza, meno razionali, meno rigorose, meno “scientifiche”) è ancora lontano dal morire, e i dati Istat rivelano che in Italia, a fronte di un media europea del 62,4%, lavora solo il 49% delle donne, dato che lascia aperto il campo all’ipotesi che le bambine italiane vengano ancora cresciute con la consapevolezza che un giorno dovranno scegliere tra avere una famiglia e realizzarsi sul lavoro, e che soltanto una delle opzioni rappresenti la scelta corretta e naturale per loro.

 

Anche qui, dunque, la strada per rivolgere alle bambine e ragazze il comportamento corretto, onesto e scevro di sessismo che meritano è ancora lunga. Gli stereotipi sono ancora tanti, e sradicarli è certamente difficile perché, come ricordava lucidamente Elena Gianini Belotti nel suo Dalla parte delle bambine:

 

 

“I pregiudizi sono profondamente radicati nel costume: sfidano il tempo, le rettifiche, le smentite perché presentano un’utilità sociale. L’insicurezza umana ha bisogno di certezze, ed essi ne forniscono. La loro stupefacente forza risiede proprio nel fatto che non vengono ammanniti a persone adulte che, per quanto condizionate e impoverite di senso critico, potrebbero averne conservato abbastanza per analizzarli e rifiutarli, ma vengono trasmessi come verità indiscutibili fin dall’infanzia e non vengono mai rinnegati successivamente. L’individuo li interiorizza suo malgrado, e ne è vittima sia colui che li formula e li mantiene in vita contro l’altro, sia colui che ne viene colpito e bollato.”  p. 14



FONTI

www.Unicef.it

www.Istat.it

Belotti E.G., Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 2016.


Photo credit: Andrea Maresti