La guerra giusta

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Guerra giusta

Nelle ultime settimane siamo stati travolti dai tragici avvenimenti accaduti in Afghanistan, dove da circa vent’anni gli USA e gli alleati stavano combattendo la lunga guerra contro i talebani. 

La guerra in Afghanistan ha iniziato ad acquisire una grande priorità per gli USA soprattutto a partire dal 2009, sotto l’amministrazione Obama.

«Il male esiste, la promozione dei diritti umani non può essere solo un’esortazione. La dura verità è che non sradicheremo i conflitti violenti nel corso della nostra vita. Ci saranno momenti in cui le nazioni, da sole o di concerto, troveranno l’uso della forza non solo necessario, ma moralmente giustificato» (1).

Queste sono state le parole pronunciate da Barack Obama durante la consegna del Premio Nobel per la pace, ricevuto il 10 dicembre 2009. L’allora Presidente fa riferimento alla necessità delle guerre che gli USA stavano portando avanti per sconfiggere il male e difendere i diritti umani, non solo sul territorio afghano, ma anche in Iraq.


Nel discorso viene di fatto legittimata la guerra rifacendosi a un concetto tradizionale per i paesi dell’occidente: la guerra giusta.


La guerra è stata uno strumento da sempre utilizzato per risolvere controversie politiche. Quando pensiamo agli avvenimenti storici, parlare di guerre ci sembra un fatto totalmente normale, come se queste fossero delle scansioni temporali necessarie per dividere il susseguirsi di epoche storiche diverse. Sicuramente fino alla fine dell’Ottocento condurre le guerre era considerato molto comune, ma questa “normalizzazione” nell’opinione pubblica doveva essere spesso accompagnata dalla legittimazione dell’atto bellico, che poteva essere identificato come giusto, oppure ingiusto. In Occidente, in particolare, il concetto di guerra giusta è stato analizzato e sviscerato filosoficamente sin dall’antichità, con l’obiettivo di individuare quali guerre potessero considerarsi da combattere e quali invece potevano essere evitate, in quanto non giuste.

Quando, quindi, una guerra può definirsi giusta? Il concetto di bellum iustum lo ritroviamo una delle prime volte nei testi di Agostino, che cerca di rispondere alla tradizione tipicamente religiosa che il buon cristiano debba vivere in assenza di violenza e quindi che non possa far parte di eserciti. Agostino smentisce l’impossibilità di combattere da parte dei cristiani, sottolineando come sia in primo luogo necessario valutare tre aspetti fondamentali per verificare la legittimità della guerra.


I tre principi agostiniani vengono ripresi da Tommaso e riportati nella sua Somma Teologica.


In primo luogo la guerra deve essere autorizzata dal principe (considerato l’autorità al servizio di Dio) che ha il compito di difendere il suo popolo nel nome di Dio. Il secondo principio, invece, riguarda la giusta causa, che si collega strettamente al terzo principio: la recta intentio. Entrambi rimandano alla concezione secondo cui la possibilità di combattere deve essere legata alla rivendicazione delle ingiustizie e alla ripristinazione della pace, con l’obiettivo di risollevare le condizioni di un popolo. ‹‹Quelli che fanno le guerre giuste hanno di mira la pace›› (2) afferma Tommaso in rimando alle tre condizioni agostiniane. La bellum iustium rimane un concetto presente nel corso della storia, declinandosi in maniera diversa nel susseguirsi delle epoche.

Un esempio della ripresa di tale definizione lo ritroviamo nel corso del Cinquecento in Spagna, nel momento della cosiddetta Conquista. Dopo la scoperta dell’America, infatti, nasce un vero e proprio dibattito giuridico sulla legittimità e la giustizia dell’invasione armata nelle terre americane degli indios. Si sviluppa la considerazione che l’invasione degli indios fosse da ritenersi “giusta” secondo la misura in cui queste popolazioni non erano considerate esseri ragionevoli e che la giusta intenzione coincidesse con il dovere morale da parte dell’autorità spagnola di reindirizzare verso la retta via cristiana le popolazioni locali. Questa declinazione di guerra giusta si dimostra come un chiaro tentativo di legittimazione della violenza che si stava perpetrando nel nuovo continente, che aveva il solo scopo reale di ampliare i possedimenti spagnoli.


Uno studioso del tempo di nome Francisco De Vitoria si insinua nel dibattito di allora, riproponendo i tre principi di Agostino e Tommaso per dimostrare come la Conquista spagnola non potesse effettivamente ritenersi una guerra giusta. 

‹‹Non è lecito spogliare dei propri beni né musulmani, né giudei, né altri infedeli a causa del solo fatto di non essere cristiani. Far questo è furto e rapina, non meno che lo si facesse ai cristiani. Anche Giuseppe rese tutto il popolo d’Egitto tributario del Faraone, che, tuttavia, non aveva la fede›› (3).

L’esempio della Conquista dimostra come la teoria della guerra giusta secondo i classici principi agostiniani possa essere facilmente declinabile in qualsiasi accezione, arrivando anche a legittimare atti come la brutalità degli atti spagnoli nei territori dell’America Latina. La giusta intenzione, che rimanda alla finalità di portare la pace e fare del bene, può essere concepita in maniera arbitraria, soprattutto nel momento in cui il “bene” a cui ci riferiamo risulta diverso dal concetto inteso al di fuori dalla società in cui viviamo


La giusta causa rimanda anche alla giustificazione della propria violenza come risposta alla violenza altrui, indicata come l’unica arma possibile per contrastare il male subito. Ce lo spiega bene Bobbio nel suo testo Il problema della guerra e le vie della pace.

‹‹Insomma ciò che permette di giustificare la violenza in certe situazioni è l’esistenza di un’altra violenza originaria a quale sia la violenza derivata? Questo è il problema. Un problema cui sinora nessuno ha mai trovato una soluzione perché la violenza originaria è sempre, per ognuno dei due contendenti, quella dell’altro››.

La giusta causa e la retta intenzione, insomma, risultano argomentazioni molto labili, eppure ancora particolarmente utilizzate per dare legittimità ai conflitti, considerando questi ultimi come il mezzo necessario e orientato teleologicamente, che oscura completamente il dolore “contingente”, ma profondamente reale di chi subisce l’atto bellico. È possibile, quindi, definire effettivamente alcuni conflitti giusti o ingiusti? Esistono realmente metodi alternativi al conflitto armato? Il dibattito è aperto.






(1) Redazione La Repubblica.it, Obama: Il mio Nobel da comandante. La guerra necessaria per la pace, https://www.repubblica.it/esteri/2009/12/10/news/il_discorso_di_obama_a_oslo_una_pace_giusta_e_duratura-1821589/

(2) T. D’Aquino, La Somma Teologica, Edizioni Studio Domenicano, 2014, p. 329. 

(3) F. De Vitoria, La questione degli Indios, Levante Editori, Bari 1996, p. 20.

(4) N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, 2009, p. 151.

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