Pensavo di essere io…invece è la Sindrome dell’Impostore

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Il libro di cui avevamo bisogno: quello che parla di noi, con noi e senza giudicarci.

Già, perché se della Sindrome dell’Impostore (d’ora in poi indicata come “SI”) ne abbiamo sentito parlare, a volte è difficile realizzare che quel pensiero fastidioso non è frutto delle nostre lacune ma proprio il risultato di questa “Sindrome”.

Virgolettata perché – come ci ricorda Di Stefano-Abichain – «è piuttosto un insieme di sensazioni, stati d’animo o attitudini personali che possono essere una costante ma anche transitori».(1)

“E meno male” verrebbe da dire! Perché in questo libro, frutto di una ricerca scrupolosa e attenta, appare chiaro come sia un’esperienza condivisa che può colpirci in praticamente tutti gli ambiti della vita e tenta di oscurare le nostre vittorie.

Insomma, un volume ricco e divulgativo che ci fa sentire meno solə e molto più compresə.

Un volume che mi sento e ci sentiamo di consigliare proprio perché grazie alle sue parole leggere, autoironiche ma chiare e precise, consente di alleggerire quel masso sul petto che non ci fa dormire la notte;

quando pensiamo di non essere abbastanza, di non meritare le nostre vittorie, di ingannare le persone con le nostre qualità.

Dal momento in cui un libro del genere mancava sul panorama degli scaffali italiani, ho deciso di fare un paio di domande a Florencia Di Stefano-Abichain perché è proprio grazie al suo lavoro se oggi siamo tuttə un po’ più consapevolə.

L: Nel libro parli di esserti resa conto di quante persone attorno a te sono colpite dalla SI, riportando ad esempio la storia di una bravissima critica musicale. Dopo l’uscita del testo la tua percezione è cambiata? Ti aspettavi così tante persone coinvolte?

F: Devo dire che sì, lo ammetto, mi aspettavo davvero che ci fossero così tante persone coinvolte. Intanto perché – sinceramente – non potevo credere di essere così speciale, l’unica a sentirmi così. Avendo avuto riscontro da persone a me vicine ho detto “questo deve essere qualcosa non dico universale ma di largamente diffuso”. E poi per un altro motivo: nella stesura del libro mi sono resa conto che talmente tanti sono gli ambiti dove la SI può insinuarsi che, da una parte o dall’altra, è molto semplice che questo succeda almeno una volta nella vita a una persona. Che sia nel lavoro, nelle relazioni, nelle amicizie, nella scuola…quindi sì, sinceramente me lo aspettavo, ti dico la verità!

L: Tutta la ricerca fatta per la creazione di questo progetto ti ha aiutata a scoprire aspetti di te che non conoscevi? Magari anche in vista di un nuovo libro?

F: Guarda, mi hai già spaventata solo nel dirmi “in vista di un nuovo libro”!
Per citare David Foster Wallace: “[forse è] una cosa divertente che non farò mai più”.

Non so, non pongo limiti alla provvidenza, però non è stato così semplice per me. Nel senso che nel mio percorso professionale (ma anche personale) tendo a non raccontare mai i fatti miei, aneddoti intimi della mia vita privata. Cerco sempre di far parlare le idee, di raccontare ciò che mi circonda, i temi a me cari, dare voce alle altre persone, essere anche di servizio in alcuni casi. Non ero per niente abituata a parlare e scrivere di me, per cui è stata una stesura difficile perché io ora sono smascherata completamente in questo libro da questo punto di vista.

Se c’è qualcosa che questo libro mi ha aiutata a scoprire o meglio, ha confermato, è questa mia necessità enorme di controllo, di potere, di avere scelta di cosa dire e cosa no. Qui si rifà molto alla mia presenza social. È un argomento che io cito e tratto ampiamente nel libro, quello del nostro alter ego digitale, una piazza in cui ci si confronta e espone continuamente. 

A me conforta molto sapere che posso scegliere cosa mostrare e dire di me e cosa no. La stesura di questo libro mi ha aiutata a capire che ancora di più devo tutelare me stessa in questo senso, che non è solo essere gelosa della mia privacy. È proprio l’idea di non lasciarmi sopraffare da tutto quello che c’è fuori. Dare in pasto tutto (almeno per quanto mi riguarda) è la cosa peggiore che possa succedere perché mi metterebbe ancora più in costante confronto e competizione con altre persone e temerei veramente continuamente il giudizio su qualsiasi aspetto. 

Ho capito che tante cose le voglio tenere per me anche per un autotutela che si rifà alla SI di cui sopra. Quindi di base: no non sono “guarita”, non mi è passata la SI, ma di sicuro la gestisco meglio grazie anche a consapevolezze come queste.

Grazie Vallardi Editore e Florencia Di Stefano-Abichain!

F. Di Stefano-Abichain, Pensavo di essere io…invece è la Sindrome dell’Impostore. Come trasformare il senso di inadeguatezza nel nostro migliore alleato, Vallardi editore, Milano, 2021.

(1) p. 24