La storia della filosofia, si sa, ama le periodizzazioni, i punti di cesura, il poter dire che le cose cambiano da X a Y da un momento all’altro e per un solo, preciso motivo. Ma noi sappiamo benissimo che il quadro è ben più complesso di così, e che le sfumature sono importanti e vanno colte.
Di Antonio Labriola, la storia della filosofia ci dice poco, perché ha scritto poco e ha avuto scarsa fortuna, ma di sicuro ci trasmette l’idea che, da assiduo frequentatore degli ambienti della Destra storica, egli un bel giorno si sia ritrovato marxista, più per arrivismo che per adesione sincera.
In realtà, i carteggi, gli appunti, la fitta corrispondenza con intellettuali di spicco in Italia e non solo (un suo interlocutore è il vecchio Engels!) ci restituiscono un’immagine differente: il professor Labriola non fa filosofia solo dalla sua cattedra di filosofia morale a Roma, ma per le strade, con gli studenti al bar, con gli operai nelle fabbriche, si sporca le mani, e riserva aspri commenti ai suoi colleghi che si limitano ad alimentare futili battaglie teoriche dagli scranni universitari, e in generale a tutti coloro che fanno della filosofia una questione di astratte fantasticherie.
La storia di come Labriola sia approdato al marxismo è la storia di una decisiva presa di coscienza sulla corruzione dilagante e sugli intrighi politici della Destra, di una delusione cocente, della necessità chiaramente avvertita di istruire le masse per governarle davvero.
Quando Labriola comincia a leggere Marx, all’altezza del 1890, una lettura febbrile e direttamente dal tedesco, ci ritrova ciò che avvertiva dentro di sé solo in nuce. Ma il nostro professore ha avuto l’abitudine di sviluppare la propria costruzione teorica sempre in polemica contro qualcuno, e in questo caso il suo marxismo comincia dalla polemica contro tutti coloro che leggono Marx in modo dogmatico, e perciò stesso prestano il fianco a critici e detrattori d’ogni sorta (1). Il marxismo è un metodo di ricerca, un filo conduttore, a partire dal quale va sempre mantenuta vigile la capacità critica e di discernimento che ognuno di noi deve conservare. Per questo motivo, il primo obiettivo di Labriola è quello di rendere le parole di Marx accessibili e fruibili al grande pubblico.
In parallelo, fa il suo ingresso nella politica militante, non più giovanissimo ma con più ardore dei giovanissimi, perché vuole avvicinarsi ai problemi reali e concreti della vita, dai quali si rende conto di essersi tenuto lontano per troppo tempo. Ai suoi studenti vuole insegnare a giungere alle definizioni, sperimentando, ragionando e facendo ipotesi, mentre i suoi colleghi cominciano dalle definizioni, dagli schemi, dalle formule, come se fossero assiomi indiscutibili.
Cosa ha insegnato, allora, Labriola alla cultura italiana?
«Ha insegnato a leggere il Manifesto, e che il Capitale non è una Bibbia in cui credere ma un libro di scienza, da storicizzare e criticare. Ha insegnato che il marxismo non è un dogma ma un filo conduttore. Ha insegnato la severità della storia che non ammette scorciatoie. Ha insegnato la supremazia della ragione, e che pensare è un lavoro altamente qualificato senza il quale il mondo non si cambia.» (2)
Ha insegnato anche un’altra, importantissima lezione: che non è un reato cambiare idea, che le nostre idee sono fatte per essere confutate, che il dialogo può mutare un punto di vista. Che ciò che accade sotto i nostri occhi ha il potere di plasmare la realtà ogni volta di nuovo, e non c’è nulla di male nel riconoscerlo.
«Il pensare diversamente, a lungo scadere di anni, non è contraddirsi, ma svolgersi.» (3)
(1) A. Labriola, Saggi sul materialismo storico, Editori Riuniti, Roma, 1968.
(2) E. Garin, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l’Unità, De Donato, Bari, 1983.
(3) A. Labriola, Epistolario, Editori Riuniti, Roma, 1983.
Immagine di copertina: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Antonio_Labriola.jpg
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