Nel 2017 Mimesis ha pubblicato Le teorie queer. Un’introduzione dove Lorenzo Bernini (1) propone un’illustrazione di quel vasto insieme di ricerche, metodologie e pratiche che sono le teorie queer da una prospettiva filosofico-politica e ne avanza una definizione utile a sviscerare i punti cruciali.
Le teorie queer (2) possono essere descritte come filosofie politiche critiche che, assumendo il punto di vista delle minoranze sessuali, denunciano come arbitrario, abusivo e intollerabile il regime che le rende tali, senza offrire necessariamente soluzioni o alternative, ma lasciando per lo più alle pratiche di lotta dei movimenti sociali e dei singoli soggetti il compito di elaborare o sperimentare le une e le altre. (3)
Il testo è pensato come propedeutico, scritto dunque in modo didattico e strutturato in senso manualistico: ne risulta una lettura agile, adatta a chiunque si voglia approcciare per la prima volta a questi temi e approfondirli.
Troviamo prima di tutto una riflessione sul carattere disturbante che le teorie queer rivestono, ancora oggi, sia in campo accademico che politico: come esemplifica il termine stesso, sono saperi polemici, conflittuali e scomodi tanto nell’oggetto che indagano (la relazione tra sessualità e politica) quando nelle metodologie che utilizzano (non progettuali e aporetiche). In questo senso Bernini le colloca all’interno del più ampio campo delle teorie critiche e della filosofia politica, intesa come riflessione che, procedendo per problemi e in modo antidogmatico e antiautoritario, indaga la dimensione del potere. Ciò che le teorie queer indagano non è però (solo) il potere istituzionalmente inteso, in senso coercitivo e legislativo, ma ogni dispositivo normativo che permea la società, producendo azioni e plasmando le nostre soggettività: quello che Foucault definisce “microfisica del potere”.
Quel che fa sì che il potere regga, che lo si accetti, ebbene, è semplicemente che non pesa solo come una potenza che dice no, ma che nei fatti attraversa i corpi, produce delle cose, induce del piacere, forma del sapere, produce discorsi; bisogna considerarlo come una rete produttiva che passa attraverso tutto il corpo sociale, molto più che come un’istanza negativa che avrebbe per funzione di reprimere (3).
Le teorie queer rivelano e denunciano il carattere normativo che le forme di potere presenti utilizzano e tramite cui giustificano la loro azione di governo, guardando a tutto questo dalla prospettiva di chi è oppresso: quella delle minoranze sessuali.
Ma fanno tutto questo da una posizione volutamente scomoda e scomodante che, assumendo un approccio intersezionale, si discosta anche dall’attivismo e dal pensiero gay, lesbico e transgender mainstream che spesso rischiano di riprodurre al proprio interno modelli normativi, gerarchici ed escludenti (4).
Il testo legge, inoltre, le teorie queer come saperi militanti, dunque indissolubilmente legati alle pratiche di lotta interni ai movimenti sociali di liberazione sessuale e, a esemplificazione del legame tra teoria e pratica politica, Bernini propone il 1990 come data di riferimento fondamentale. È nel 1990, infatti, che viene fondato il Queer Nation (primo movimento e gruppo di protesta ad assumere il termine queer come identità politica) così come è nel 1990 che Teresa de Lauretis propone di adottare la definizione di Queer Studies in ambito accademico.
In definitiva, ciò che affascina e allo stesso tempo spiega chiaramente Bernini in questo testo è come le teorie queer siano teorie di “resistenza”, foucaultianamente intesa come azione creativa di opposizione al potere che arriva a modificare, però, anche il soggetto stesso la cui resistenza «si esprimerà invece nell’elaborazione di nuove modalità di soggettivazione, di nuove provvisorie identità, di nuovi stili di vita e di nuove comunità» (5).
Lorenzo Bernini, Le teorie queer. Un’introduzione, Mimesis, Milano, 2017.
(1) Lorenzo Bernini insegna Filosofia politica e sessualità all’Università di Verona, dove dirige il Centro di Ricerca PoliTeSse (Politiche e Teorie della sessualità).
(2) Il termine queer può essere tradotto come “storto”, “strano”, “bizzarro” ed equivale a insulti quali “frocio/a”. Il termine ha quindi un’accezione negativa e dispregiativa, di cui però parte dei movimenti delle minoranze sessuali si sono riappropriati assumendolo e rivendicandolo come identità politica.
(3) L. Bernini, Le teorie queer. Un’introduzione, p. 53.
(3) M. Foucault, Microfisica del potere. Interventi politici, Einaudi, Torino, 1977, p. 13.
(4) Come mostra Bernini nel capitolo terzo, con questo ci si riferisce al fatto che anche all’interno dei movimenti e delle comunità delle minoranze sessuali si possono riscontrare meccanismi di esclusione e modelli normativi e gerarchici. Ciò si lega al fatto che l’integrazione delle minoranze sessuali all’interno delle società neoliberali è stata spesso compiuta (e rischia tuttora di compiersi) a spese di altre soggettività minoritarie (ad esempio: posizione e riconoscimento socio-politico di un uomo gay bianco e di classe medio-alta vs. posizioname e riconoscimento socio-politico di una persona non binary, nera, economicamente fragile) e come, di contro, sia necessario agire entro una prospettiva teorica e pratica intersezionale.
(5) L. Bernini, Le teorie queer. Un’introduzione, p. 9.
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