Per la libertà: l’attivismo femminile in Russia

0
691
Russia

Ad oggi, nel 2022, siamo nel pieno del quarto mandato presidenziale non consecutivo di Vladimir Putin in Russia, che da più di vent’anni tiene sotto scacco un paese intero a suon di modifiche costituzionali e repressione di libertà fondamentali. 

In questo clima così delicato, promuovere i diritti umani, protestare in nome della loro tutela, schierarsi e far sentire la propria voce è una delle attività più pericolose. La libertà di riunione e di espressione è fortemente limitata, e c’è una repressione del dissenso a tratti anche molto violenta. Parallelamente alla storia degli oppositori e delle oppositrici al regime putiniano, che in Occidente sono riconosciuti, stimati e ammirati per il loro lavoro, c’è anche una storia meno nota agli osservatori occidentali, che è precisamente quella che riguarda le proteste femministe e vede protagoniste le donne. (1)

Il clima che si respira in Russia a livello sociale e culturale ci racconta che le donne guadagnano più del 30% in meno degli uomini, anche nei casi in cui sono più qualificate rispetto ai loro colleghi; ci racconta che a livello legislativo vengono prepotentemente affermati i valori tradizionali della famiglia come unione tra uomo e donna, vengono calpestati i diritti di ogni sorta di minoranza, viene completamente ignorato il problema della violenza domestica, e non viene prestata alcuna attenzione ai diritti umani delle donne. Gli abusi e le discriminazioni sono all’ordine del giorno, sono la regola invece che essere l’eccezione, e per questo motivo sono ormai diventati una componente sistemica dell’ordine socio-culturale russo. C’è violenza sulle donne tanto su un livello pubblico quanto su quello privato


La storia dei movimenti femminili di protesta in Russia è frammentata e discontinua, per due motivazioni principali.


In primis, a causa della difficoltà intrinseca che sperimenta chiunque voglia dar inizio a movimenti di protesta in un contesto autoritario. La polizia fa spesso uso di violenza non necessaria contro protestanti pacifici, e – quel che è peggio – tollera ampiamente che gruppi privati esercitino violenza nei loro confronti nella più totale impunità. È sempre dietro l’angolo il rischio di processi sommari, condanne, multe da pagare, persecuzioni. Il secondo motivo risiede nel fatto che, molte volte, i gruppi di protesta non nascono come specificamente femministi, e si ritrovano a dover lottare per una serie di problematiche di ordine sociale che affliggono la popolazione russa da tempo, il che può mettere in secondo piano la tematica prettamente femminista. (2)


C’è tuttavia un caso che ha destato molto scalpore: quello delle Pussy Riot, un collettivo radicale e femminista, che nel 2012 ha organizzato una serie di proteste che hanno ottenuto grande risonanza mediatica soprattutto all’estero.


L’evento di protesta che più di tutti ha richiamato l’attenzione ha avuto luogo il 21 febbraio 2012: nell’ambito di un movimento di protesta più ampio rivolto contro la rielezione di Putin a presidente, tre componenti del gruppo si sono introdotte nella Cattedrale di Cristo Salvatore mettendo in scena una sorta di preghiera punk. La reazione in Russia è stata immediatamente molto dura: non solo da parte della Chiesa ortodossa, com’era prevedibile, ma anche di una larga fetta di opinione pubblica che si identifica con i valori conservatori e che si è detta profondamente offesa dai toni provocatori del collettivo. Le tre donne sono state condannate e incarcerate, e una di loro ha presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dei suoi diritti umani.

In conclusione, protestare in Russia si fa ogni giorno più pericoloso, come possiamo osservare anche durante questi giorni. Ma le violenze a cui sono sottoposte le donne, sia nel privato della sfera domestica sia a livello pubblico, non fanno altro che alimentare un sistema basato fondamentalmente sull’omertà e su un consenso disinformato.


È la società stessa a privare di legittimità i movimenti di protesta organizzati dalle donne e per le donne, che ottengono una certa timida risonanza solo all’estero, ma con un potere d’azione molto limitato. 


Ci auspichiamo che possa squarciarsi questo muro di silenzio che circonda le richieste di riconoscimento dei diritti civili, politici, sociali, umani. Perché «vogliamo essere liberi, lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà tanto quanto voi» (3).






(1) Rapporto annuale 2020-2021, Amnesty International (https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2020-2021/europa-e-asia-centrale/russia/

(2) V. Turbine, Women’s human rights in Russia: outmoded battlegrounds, or new sites of contentious politics?, East European Politics, volume n.31, 2015 (https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/21599165.2015.1064395

(3) A. Politkovskaja, La Russia di Putin, Adelphi, Milano 2005, p.11

Immagine di copertina: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:%22Church_of_Pussy_Riot%22_-Protest_for_Free_Pussy_RiotMagdeburg,_Germany-_26_April_2012.jpg