La prima ondata è quella delle suffragiste e dell’inclusione nei sistemi democratici. La seconda quella che continua a chiedere diritti, riconoscendo tuttavia che ciò che è necessario è un cambiamento culturale. La terza ondata, quella finalmente intersezionale, interessata a soggetti fino a quel momento lasciati da parte. La storia la conosciamo, ed è questa. Ma siamo davvero sicurə che dividere così il passato del femminismo non sia dannoso?
Un’operazione del genere, infatti, per quanto utile, spesso affonda quelle voci che non hanno la stessa opportunità di emergere come altre.
Si racconta quindi dello straordinario movimento per il suffragio, ma non del razzismo che lo popolava (1), e di conseguenza non si dà conto alla vita e alle lotte delle donne nere in quel periodo. La divisione in ondate non presenta problemi solo dal punto di vista storico, ma risulta riduzionista anche sotto l’aspetto teorico. Si lega infatti a un approccio opposizionale (2), in cui le varie teoriche del femminismo appaiono legate da un processo di superamento costante. Questo approccio ha diverse conseguenze.
In primo luogo, sembra che le femministe del passato non abbiano nulla da dirci, perché ormai obsolete: per questo oggi, ad esempio, quando ci si approccia al femminismo si va subito verso Judith Butler, dimenticandosi di Simone de Beauvoir. E per quanto sia naturale voler conoscere i pensieri che più ci aiutano a capire i problemi del nostro presente, è importante non dimenticare che essi esistono perché hanno una storia alle loro spalle. In secondo luogo, l’approccio opposizionale ripropone, a livello della teoria, un’ostilità tra donne che dovrebbe invece essere decostruita a favore della solidarietà.
Per questo dovremmo cambiare il paradigma, e dedicarci piuttosto a un approccio relazionale, che si fondi innanzitutto sulla revisione della metafora delle “ondate”.
Essa implica infatti la presenza di “picchi” di attivismo e teoria, che si stagliano al di sopra di tutto il resto. Quello che si trova “tra due onde” viene automaticamente identificato con la calma piatta, quando in realtà presenta una produzione femminista che nulla ha da invidiare a quei picchi. Quindi, per quanto sia utile periodizzare i femminismi per muoverci con più tranquillità tra essi, non è detto che la periodizzazione debba essere operata sotto l’egida di questa metafora.
Interessante è, a tal proposito, quella proposta dalla storica Premilla Nadasen, ossia la metafora del fiume. Un fiume infatti scorre sempre, non si ferma mai. Ha degli affluenti, a volte scorre più lento, altre più veloce, ma è continuamente in movimento: proprio come i femminismi da 150 anni a questa parte.
Quest’ultima metafora rappresenta allora la base adatta per introdurre, nella ricostruzione dei femminismi, un approccio relazionale che favorisca finalmente dei rapporti genuini tra le conquiste, teoriche e politiche, delle femministe del passato. Pensare a esse in maniera superficiale corrisponde infatti, molto spesso, a darle per scontate (3), e questo è tanto più vero per tutte quelle teoriche che non sono inserite in una delle “ondate”, ma si collocano tra esse. Penso ad esempio alle femministe nere che non sono state incluse nei movimenti di massa degli anni Settanta e Ottanta, ma che comunque hanno fatto femminismo, per se stesse e per tutte le altre.
Inoltre, la relazionalità ci permette anche di vedere come ogni teorica sia legata a tutte le altre da legami opachi, e quindi inesplicabili, ma tuttavia presenti.
Smettere di pensare alle ondate, lasciare andare la prospettiva di un’opposizione costante tra un femminismo e l’altro, e soprattutto tra noi e il passato, consente di recuperare la molteplicità delle prospettive, e sotto un’ottica teorica rappresenta dunque l’unico modo di raccontare la storia dei femminismi che sia in linea con un approccio veramente intersezionale. Se la parzialità, e non la pretesa totalità, è l’orizzonte in cui ci vogliamo muovere, dobbiamo valorizzare ogni singola voce nella sua unicità e contemporaneamente nei suoi legami a tutte le altre, e non più partire dal generale, in cui far entrare a forza tutto il particolare.
(1) A. Davis, Donne, razza e classe, Alegre, Roma, 2018, pp. 105-122.
(2) https://thesociologicalreview.org/magazine/october-2021/generations/generation-talk/
(3) Ibidem.
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