Sarà capitato alla maggior parte di chi studia o ama la filosofia di riflettere su questa disciplina, sulla sua natura, i suoi scopi e le sue origini. In genere, chi ne ha un minimo di padronanza la definisce come amore per la conoscenza, che ha come fine – ma anche come mezzo – la ricerca della verità e dell’essenza delle cose.
Nel linguaggio comune, invece, spesso si parla di filosofia in senso più ampio e si usa questo termine come sinonimo di “stile di vita”. Utilizzata in questo modo, la parola filosofia perde la propria pesantezza: non è necessariamente legata a qualcosa di troppo profondo. Chi ha una certa filosofia, popolarmente parlando, non sempre ha delle solide basi concettuali che spiegano il suo comportamento. Semplicemente vive in un certo modo, seguendo qualche idea cardine, ma non costruendo inamovibili impianti teorici.
Per questo, chi non ama questo uso del termine filosofia – e l’autrice stessa dell’articolo ci si tira dentro – potrebbe irritarsi vedendo associata tale materia ad un film non troppo d’essay, che parla di un idolo pop-glam, come accade in Velvet goldmine.
Questo apparente abuso, però, ha la volontà di scuoterci: la filosofia non dovrebbe stare sotto una campana di vetro.
L’intenzione di proteggere la nostra disciplina dalla doxa, – l’opinione, che si oppone alla verità (si veda Platone) – l’ha spesso privata della possibilità di aprirsi a un mondo in continua evoluzione, in cui valori tradizionali e i concetti che si credevano assodati sono stati sconvolti dalla complessità della realtà.
Di conseguenza, non deve scandalizzarci l’associazione presente nel titolo, poiché – per quanto volutamente pop, glam e un po’ trash – Velvet Goldmine può risvegliare riflessioni attuali e non così lontane dalla “vera” filosofia e da noi di Filosofemme.
Per chi non conosce questo film, segue una breve trama, senza spoiler.
Un giornalista, Arthur Stuart, viene invitato a indagare sulla fittizia morte di una star del glam-rock, Brian Slade, avvenuta una decina di anni prima, negli anni Settanta, durante un concerto. Questo espediente porta Arthur a ricordare quei tempi, quando anche lui era fan.
Perché dovrebbe interessarci un film di questo tipo? Perché è pieno di temi stimolanti, come quello dell’identità di genere, della fluidità, della sessualità, ma anche del rapporto tra realtà e finzione.
Per farsi un’idea delle atmosfere e del pensiero che stanno dietro alla pellicola, basta menzionare il personaggio a cui si ispira il cantante Brian Slade: David Bowie. L’artista inglese ha costruito la sua carriera – soprattutto negli anni Settanta – sui temi sopra menzionati e ciò fu rivoluzionario per l’epoca; ma andiamo con ordine.
Ci sono due nuclei tematici principali ed entrambi ruotano attorno alla nozione di identità, questione chiave per la filosofia. Il primo argomento cardine, che si presenta sin dai minuti iniziali del film, è quello dell’apparenza. Centrale è qui la figura dello scrittore Oscar Wilde che, con uno dei suoi aforismi più noti, riassume perfettamente una delle idee principali di Velvet Goldmine: «L’uomo è meno se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità» (1).
Questa visione di Wilde, che emerge nel film, ha la volontà di provocare e di mettere in discussione la realtà esistente: nel caso dell’autore irlandese la rigida epoca vittoriana, nel caso del glam la società ancora “puritana” – da un lato – e il rock machista degli anni Settanta (di Hendrix o degli Stones) – dall’altro. La maschera, l’esaltazione dell’apparenza sono, quindi, gesti rivoluzionari con lo scopo di sottolineare la certa alterità rispetto al proprio contesto; la problematizzazione del concetto di verità, pertanto, va di pari passo con la critica ad un’idea di identità stabile (2).
A ciò si ricollega il secondo tema cardine, che è quello dell’identità di genere.
Lo stile glam di Slade/Bowie è caratterizzato da trucco pesante, tacchi alti, capelli coloratissimi e spesso lunghi, da boa di struzzo, paillettes e tutto ciò non è più prerogativa esclusivamente femminile. Questa identità di genere ibrida tipica dei performer glam-rock ha la volontà di contrastare una sua concezione rigida assunta come l’unica possibile e naturale (3). Di conseguenza anche la sessualità è più libera e supera ogni limite imposto dalla società.
Insomma, in entrambi gli argomenti chiave c’è una critica verso la realtà esistente e le sue imposizioni, in particolare quelle legate alla persona e alla sua identità. Queste tematiche e la loro problematizzazione non dicono nulla alla filosofia? La domanda è ovviamente retorica: ci abbiamo speso miliardi di parole.
Sì, bisogna ammetterlo: le risposte che Wilde e Slade/Bowie danno sono facilmente contestabili. Effettivamente, è il regista stesso di Velvet Goldmine a sottolineare certi lati oscuri e critici (4).
Nonostante ciò, sarebbe sbagliato escludere dalla riflessione filosofica un film di questo tipo perché il mondo del pop, può dare una spinta alla filosofia che sia importante per il suo rinnovamento, perché non rimanga arroccata a concetti vecchi, non più plasmabili sulla società in fermento degli anni Settanta, così come su quella odierna. Ciò non significa perdere tutti i valori e le fondamenta della nostra disciplina, come il rispetto della logica, la razionalità, l’inesauribile ricerca del vero. Non bisogna cadere nel più totale relativismo: bisogna semplicemente iniziare a considerare una realtà più complessa di quella che si credeva esistesse.
La “crisi” del concetto di identità, ben messa in gioco da Velvet Goldmine, può aiutarci in questo senso.
(1) O. Wilde, Il critico come artista in Id., Opere, a cura di Masolino D’Amico, Mondadori, Milano, 2000, pp.1134 citato in Pierpaolo Martino, La filosofia di David Bowie. Wilde, Kemp e la musica come teatro, Mimesis, Milano, 2016, pos.122.
(2) Cfr. P. Martino, La filosofia di David Bowie. Wilde, Kemp e la musica come teatro, Mimesis, Milano, 2016, pos. 135.
(3) Cfr. Ivi, p.323.
(4) Cfr. Ivi, p.351.
La foto di copertina è un’immagine ufficiale di Velvet Goldmine. Il copyright della suddetta è pertanto di proprietà del distributore del film, il produttore o l’artista. L’immagine è stata utilizzata per identificare il contesto di commento del lavoro e non esula da tale scopo – nessun provento economico è stato realizzato dall’utilizzo di questa immagine. / This is an official image for Velvet Goldmine. The image copyright is believed to belong to the distributor of the film, the publisher of the film or the graphic artist. The image is used for identification in the context of critical commentary of the work, product or service. It makes a significant contribution to the user’s understanding of the article, which could not practically be conveyed by words alone.
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