Gli episodi di violenza di genere suscitano una rabbia istintiva, che nasce dalla paura e dalla necessità di difendersi.
Una rabbia legittima ed esasperata, che spesso si traduce nella richiesta di misure di sicurezza: sorveglianza, forze di polizia, carcere.
Ogni buonə o cattivə femministə ha fatto esperienza di questo sentimento, impossibile da eludere in una società in cui, nonostante una percentuale sempre più bassa di omicidi, i femminicidi continuano a crescere e la violenza sulle donne non accenna a essere trattata con il riguardo che meriterebbe (1).
La rabbia, però, può seguire due percorsi possibili: uno distruttivo, punitivo e generalizzante; l’altro trasformativo.
La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere (2), di Giusi Palomba, esplora i mondi possibili che seguono alla violenza, mettendo in dubbio l’efficacia del cosiddetto femminismo carcerario: «quella ideologia che, fondandosi sulle nozioni di pericolosità e sicurezza, si batte affinché i tribunali giudichino più severamente e con pene detentive più lunghe, o per un aumento delle misure di sorveglianza e controllo». (3)
Palomba rivela i limiti di questo tipo di approccio, che nasce dal timore individuale e non arriva a immaginare soluzioni collettive.
Pensiamo alle recentissime dichiarazioni della senatrice leghista Giulia Bongiorno sulla liceità della castrazione chimica, definita dalla stessa un “trattamento farmacologico”.
“Curare” l’aggressore è un intervento di breve periodo che riguarda l’individuo e non la collettività. Una misura punitiva destinata all’aggressore, che soddisfa un bisogno immediato di reazione all’orrore criminale.
È individuale la colpa, è individuale la pena. È individuale anche la rabbia.
Ma è proprio questo il fulcro della violenza di genere?
Palomba pone l’accento sulla violenza sistemica e sulla necessità di adottare misure che tengano conto di questa sistematicità. Il problema è culturale e va affrontato con una presa di coscienza collettiva, con uno sguardo al futuro e senza ingenuità.
Ben consapevole della rabbia e della paura, Palomba propone una decostruzione di tutte quelle soluzioni che puniscono, ghettizzano e finiscono per additare gli aggressori come “mostri” o “mele marce”, condonando l’accountability (4) del sistema.
È forse paradossale che, per pensare oltre l’individualismo, Palomba parta proprio da un’esperienza personale.
La prima sezione del saggio è dedicata, infatti, alla narrazione di un evento spartiacque nella sua vita, ovvero la scoperta che un caro amico aveva agito un episodio di violenza.
Cosa fare quando l’aggressore è una persona di cui ti fidi, a cui vuoi bene?
Il paradosso si rivela, però, solo apparente: con empatia, profonda comprensione di vittime e aggressori e senza buonismi, Palomba sa ricucire lo strappo che divide individuale e collettivo.
Partire dal primo per approdare al secondo, in un esercizio continuo di speranza.
Postilla.
La trama alternativa è un testo capace di guardare oltre le semplificazioni di un certo influencer femminism (5). Anche per questo ci teniamo particolarmente a consigliarlo. Non a caso, fa parte della collana Indi di Minimum Fax. Tra gli altri testi: Ripartire dal desiderio, di Elisa Cuter, Il conflitto non è abuso, di Sarah Schulman, e Il lavoro non ti ama, di Sarah Jaffe, che propongono visioni alternative e formule non standardizzate sui problemi del presente.
Grazie Minimum Fax!
- Meno omicidi ma più donne uccise: in crescita le vittime tra genitori e figli – Il Sole 24 ORE
- G. Palomba, La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere, Minimum Fax, Roma, 2023.
- F. Vergès, Una teoria femminista della violenza, Ombre Corte, Verona, 2020.
- G. Palomba, La trama alternativa, p. 200.
«Una delle parole chiave nelle pratiche arrivate dagli Stati Uniti è accountability. È una parola che porta con sé tanti altri significati rispetto a responsabilizzazione, che pure è il termine che ho utilizzato fin qui e che spesso continuerò a usare. Accountability, per come è in-tesa nelle pratiche comunitarie, è comprendere che un dato comportamento ha avuto un effetto su altri esseri umani, è il riconoscimento di una responsabilità per quell’effetto, ed è allo stesso tempo la capacità di prendere l’iniziativa, di fare parte del cambiamento necessario a evitare che questo comportamento si ripeta in futuro». - Ibi, p. 102.
«Anche l’attivismo femminista, nella sua versione online, ha subito un processo di semplificazione accelerato. Nei casi peggiori, lo sforzo per il cambiamento si riduce a un riassunto in gra- fiche Canva e liste nere e prescrizioni: cosa fare, chi odiare e chi idolatrare, un pacchetto completo di azioni da seguire, aggiornato quotidianamente. È il cosiddetto influencer feminism che irrompe sulla scena e raggiunge migliaia di follower e l’attenzione di molti brand».
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