Il caso di Gisèle Pelicot: cos’è la rape culture?

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Un mese fa, più precisamente il 23 ottobre 2024, Gisèle Pelicot, una donna francese di 72 anni, ha testimoniato in tribunale durante un processo pubblico che ha scosso l’opinione pubblica.

Ha denunciato gli abusi sessuali perpetrati per nove anni da oltre cinquanta uomini, di età compresa tra i 36 e i 74 anni, organizzati dal suo ex marito, Dominique Pelicot.

La vicenda è emersa dopo che la polizia, investigando Dominique per filmati illeciti sotto le gonne delle donne in un supermercato, ha scoperto una cartella inquietante sul suo computer intitolata “Abusi”. Conteneva le registrazioni dei ripetuti stupri che la signora Pelicot aveva subìto, dopo essere stata drogata e resa incosciente dall’ex-marito.

Con molto coraggio, Gisèle ha deciso di usare questo caso di orrore privato per portare avanti una battaglia pubblica contro la violenza sessuale.

La decisione di Gisèle di affrontare il processo pubblicamente, permettendo ai giornalisti di riportare il suo vero nome, ha rappresentato un passo importante per tutte le donne vittime di violenza: grazie a questo processo, Gisèle ci ricorda e ci dimostra che la vergogna non appartiene alle vittime, ma ai colpevoli. 

Questo è, purtroppo, solo uno dei casi che quotidianamente sono il riflesso di dinamiche di violenza, oggettivazione e sfruttamento dei corpi femminili. Proprio a queste dinamiche la giornalista attivista statunitense Susan Brownmiller ha dedicato importanti pagine nel libro Against Our Will: Men, Women, and Rape (1975) (1).

Susan Brownmiller descrive la rape culture, o cultura dello stupro, come un sistema culturale, radicato nella società patriarcale, in cui la minaccia di violenza sessuale è un’arma di controllo e di oppressione. Considerare stupro e violenza sessuale come fenomeni sistemici, e non semplici atti individuali, costituisce una rottura con una lunga tradizione che ha, invece, attribuito erroneamente lo stupro all’istinto sessuale o a una patologia individuale. 

“La scoperta dell’uomo che i suoi genitali potevano servire come arma per generare paura deve essere annoverata fra le più importanti scoperte dei tempi preistorici, insieme con l’uso del fuoco e le prime rozze asce di pietra. Dalla preistoria ai nostri giorni – è mia convinzione – lo stupro ha svolto una funzione critica. Si tratta né più né meno che di un consapevole processo d’intimidazione mediante il quale tutti gli uomini mantengono tutte le donne in uno stato di paura.” (2)

Come spiega Brownmiller, l’origine della violenza sessuale risale all’antichità (3).

Se nella maggior parte delle specie animali l’accoppiamento è guidato da segnali biologici emessi dalla femmina, negli esseri umani i rapporti sessuali non sono condizionati dal ciclo biologico. Per questo motivo la capacità dell’uomo di forzare un rapporto sessuale ha creato uno squilibrio di potere ed è stato imposto al genere femminile un regime di paura che si è ripercosso, e ancora oggi si ripercuote, su comportamenti, diritti e libertà delle donne.

La decisione di Pelicot di portare il proprio caso alla ribalta pubblica ha messo in luce la dimensione politica della violenza sessuale, confermando quanto sostenuto da Brownmiller: lo stupro è usato per umiliare, terrorizzare e sottomettere le donne nella dimensione intima e privata.

La minimizzazione del reato, la colpevolizzazione delle vittime e la mancanza di supporto legale adeguato sono solo alcuni degli strumenti attraverso cui la società protegge i colpevoli e rafforza la subordinazione delle donne.

È arrivato, però, il momento che questo cambi.

La testimonianza di Gisèle Pelicot, dunque, ci ricorda che lo stupro non è solo un crimine contro una singola persona, ma un attacco alla dignità collettiva e singolare delle donne.

La sua scelta di trasformare una simile esperienza in una lotta pubblica per la giustizia rappresenta un punto di svolta, un messaggio di speranza e una chiamata all’azione. Rompere il silenzio, come ha fatto Gisèle, è un atto di ribellione necessario contro la cultura dello stupro e un passo fondamentale verso una società più giusta ed equa, in cui la violenza sessuale non sia più tollerata né giustificata.

NOTE 

  1. S. Brownmiller, Contro la nostra volontà. Uomini, donne e violenza sessuale, trad. it. di A. D’Anna, Bompiani, Milano, 1976.
  2. Ivi, p. 12-3.
  3. Cfr. A. Cavarero e F. Restaino, Le filosofie femministe. Due secoli di battaglie teoriche e pratiche, Bruno Mondadori, 2002. 

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