Per una giustizia trasformativa

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Come riuscire ad abitare collettivamente il conflitto nei nostri spazi di movimento e di comunità assumendo e attribuendo le responsabilità senza cancellarci?

Come le nostre soggettività marginalizzate possono trasformare la rabbia legittima e il dolore derivanti dal danno, dall’abuso e dalla violenza in pratiche e relazioni più giuste e desiderabili? 

Questi alcuni dei «pensieri inconcepibili» (1) che attraversano Per una giustizia trasformativa di adrienne maree brown (2). Edito da Meltemi (settembre 2024), e pubblicato all’interno della preziosissima collana Culture radicali diretta dal Gruppo Ippolita, il saggio arricchisce la ristretta e recente disponibilità di testi teorici ed esperienziali in lingua italiana sul tema della giustizia trasformativa da una prospettiva abolizionista, affiancandosi al lavoro di Sarah Schulman in Il conflitto non è abuso (3) e di Giusi Palomba in La trama alternativa (4).

Tradotto dal gruppo di ricerca Dalla Ridda e accompagnato da un bruciante scritto a cura del Laboratorio Smaschieramenti (5), il libro si compone in realtà di due parti, che si richiamano tra loro in un dialogo interrogativo, rilanciando domande e collocando in modo aperto le questioni in diversi contesti geografici e politici: da una parte, quello statunitense e prevalentemente nordamericano, emergente da contesti misti e connesso al movimento Nero di maree brown; dall’altra, quello italiano e specificatamente bolognese, transfemminista e queer di Smaschieramenti. 

La sfida lanciata da maree brown è quella di provare ad impegnarsi – dapprima su piccola scala ma con lo sguardo rivolto a un futuro mondiale – per affrontare «il danno alla radice» non solo contro l’idea di una giustizia punitiva e al di fuori dei meccanismi statali legislativi e penali, ma anche in alternativa a una giustizia riparativa che spesso non distrugge ma ripristina condizioni strutturali ingiuste e dannose. Con le parole dell’autorə: 

«tutto deve cambiare, noi comprese. (…) il mio obiettivo è quello di far vivere la giustizia trasformativa all’interno dei nostri spazi di movimento non come una teoria futurista che richiediamo al mondo intero, ma come una pratica in cui ci impegniamo rigorosamente e reciprocamente (…). [Vedo il movimento] come un posto in cui riusciamo a essere oneste, a stabilire e a rispettare limiti, a dare e ricevere scuse, a chiudere aiuto e a cambiare i nostri comportamenti». (6) 

A partire da una riflessione aperta sulla facilità con cui, di fronte a una Terra che è sempre più invivibile e che richiederebbe un cambiamento radicale e profondo dei modi con cui la abitiamo, ci si attacca a vicenda (online e offline) e ci si disgrega impulsivamente su versanti rigidamente binari, adrienne maree brown delinea una posizione critica in particolare rispetto alla call out culture

Nati come strumenti di lotta per dare voce alle soggettività minoritarie e convergere una forza collettiva per denunciare discriminazioni, abusi e violenze agite da istituzioni e persone in posizione di privilegio, i call out risultano oggi sempre più diffusi, soprattutto nel mondo social.

Pur riconoscendone validità, giustezza e utilità (soprattutto quando usati da persone sopravviventi (7) a situazioni di violenza maschile, di genere e razzista) o in contesti di forte squilibrio di potere, l’autorə ne registra il divampare troppo facile e spesso eccessivo anche all’interno delle realtà antagoniste e ne analizza il carico distruttivo e punitivo, provando a delineare traiettorie strategiche di guarigione alternative volte a non depotenziare ma accrescere la propria potenza politica. 

All’interno di Per una giustizia trasformativa troviamo anche il saggio Ci siamo cancellate? (8) di Smaschieramenti che non solo declina la riflessione di maree brown sul contesto italiano, ma la complica ulteriormente e la allarga notevolmente facendola interagire con altre esperienze politiche e voci autoriali, riflettendo su come superare una prospettiva securitaria, vittimaria e iper-responsabilizzante e facendo emergere i nodi problematici o i limiti dell’applicazione pratica della giustizia trasformativa. 

«In questo libro, vogliamo proprio dire “aspettate, cerchiamo di comprendere”. (…) Percepiamo una tendenza a sostituire sempre più l’organizzazione e la lotta collettive con l’atto individuale di una denuncia fatta da una singola persona a un’altra singola persona e questa tendenza non ci sembra andare nella direzione di un reale cambiamento sociale. (…) tutto questo fenomeno merita una riflessione collettiva un po’ più profonda e un po’ più coraggiosa di quanto non sia avvenuto finora. (…) forse, c’è qualcosa che non funziona nel modo in cui si sta impostando il rapporto fra l’individuo e la comunità, e nel modo in cui il tema della safety e della violenza sta prendendo spazio nel nostro lavoro politico» (9) .

Uno scritto – quest’ultimo – emotivamente e politicamente chiaro e onesto ma soprattutto critico e coraggioso, che equilibra quella sfumatura a tratti romanticizzante e astratta della scrittura di maree brown, non avendo paura di andare a fondo dei nodi più critici e sfidanti che le realtà di movimento antagonista (transfemministe e queer, italiane ma non solo) si trovano oggi ad affrontare e accrescendo così l’utilità pratico-strumentale dell’intero testo.

Grazie Meltemi!

a. maree brown, Per una giustizia trasformativa. Una critica alla cancel culture, Meltemi, Roma, 2024

Note

  1. L’espressione «pensieri inconcepibili» è formulata dalla stessə maree brown nel testo a indicare tutto ciò che, come singolarità ma anche come comunità o movimento, facciamo fatica anche solo a pensare perché ci spaventa terribilmente (il conflitto, il danno, l’abuso, il lutto, la morte). La stessa formula dà peraltro titolo a un articolo pubblicato dalla scrittorə sul suo blog nel luglio del 2020 (unthinkable thoughts: call out culture in the age of covid-19), da cui il libro We Will Not Cancel Us and Other Dreams of Transformative Justice, tradotto in Italia da Meltemi, è tratto e in quest’ultimo inserito come saggio di una raccolta più ampia.
  1. adrienne maree brown (she/they) è una scrittorə femminista e attivista per la liberazione Black, acclamata dalla critica per il suo stile «afrofuturista». Si definisce come sopravvivente e strega (nera, mulatta, queer e grassa) e lavora come facilitatrice e mediatrice in contesti comunitari e di movimento. Nei suoi scritti si concentra su temi svariati temi: il sesso, la guarigione, la cura di sè, i traumi e la fantascienza. L’uso delle lettere minuscole a inizio del proprio nome e cognome è una scelta estetica e di soggettivazione che, sulla scia di bell hooks, maree brown rivendica per hackerare la capitalizzazione liberista dell’io a favore, invece, di un io-mondo. Tra le sue opere in italiano, nel 2002, NERO ha tradotto e pubblicato Pleasure Activism. Per una politica dello stare bene (voll. 1 e 2). Per conoscere meglio il lavoro di maree brown rimando al suo blog personale: https://adriennemareebrown.net/.
  1. S. Schulman, Il conflitto non è abuso. Esagerazione del danno, responsabilità collettiva e dovere di riparazione, Minimun Fax, Roma, 2022.
  1. G. Palomba, La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere, Minimum Fax, Roma, 2023.
  1. Smaschiaramenti è una collettiva transfemminista e queer, attiva a Bologna a partire dal 2008 (https://smaschieramenti.noblogs.org/).
  1. a. maree brown, Per una giustizia trasformativa. Una critica alla cancel culture, Meltemi, Roma, 2024, pp. 11, 15, 19.
  1.  «Sopravvivente» è il termine che il collettivo Dalla Ridda utilizza per tradurre il termine inglese survivor, usato da maree brown all’interno del saggio. L’uso del participio presente – anziché del più diffuso participio passato sopravvissuta/ə/o – porta l’accento sul fatto che sopravvivere a violenza di genere sia un processo attivo e in qualche modo continuo.
  1. Laboratorio Smaschieramenti, Ci siamo cancellate? Note su giustizia trasformativa e soggettivazione vittimaria nel contesto italiano in a. maree brown, Per una giustizia trasformativa, pp. 75 – 145.
  2. Smaschieramenti, Ci siamo cancellate?, pp. 85, 86, 87, 89, 111.