⚠️ Attenzione: questo articolo contiene spoiler del film In questo mondo libero ⚠️
Chi si appassiona a film che trattano importanti tematiche sociali, conosce o amerà conoscere Ken Loach.
Temi chiave tipici del regista sono la lotta di classe, l’immigrazione, le guerre di liberazione.
Insomma, Ken Loach dimostra nei suoi film — senza mai dirlo in maniera troppo esplicita ma esponendo in modo, a volte, molto crudo i fatti — di avere a cuore le persone più deboli, sottomesse e sfruttate.
Seppur la maggior parte dei suoi protagonisti siano uomini, le donne non mancano mai e hanno spesso ruoli fondamentali che trascinano i protagonisti, che li smuovono portandoli a dare inizio o a creare un cambiamento nelle proprie azioni.
Non tutte le donne dei suoi film, però, sono figure “positive” a tutto tondo.
Una delle pellicole più interessanti nella quale abbiamo una donna di questo tipo come personaggio principale è In questo mondo libero: Angie, la protagonista, non è considerabile buona in senso stretto, è una persona complicata, sfaccettata e, a volte, spietata. A differenza di quello che succede nella maggior parte dei film, lo spettatore non riesce ad essere dalla sua parte.
Angie è una donna londinese sulla trentina, ragazza madre di un bambino.
È evidente dai primi minuti: è tosta, forte e non si fa prendere dallo sconforto. Infatti, appena viene licenziata dal suo ruolo di recruiter di persone immigrate per un’agenzia, ne crea una propria, abusiva, con l’amica Rose e inizia a trovare lavoro a giornata e/o a tempo determinato a persone straniere.
Dimostrando che lo stereotipo per cui le donne sono più empatiche e, quindi, più brave a selezionare e gestire risorse umane è falso, Angie — con lo scorrere del film — si comporta in modo sempre più disumano e meno empatico.
In qualche episodio pare rifarsi ma, dopo poco, finisce sempre più con il diventare da sfruttata a sfruttatrice: spinge le persone dentro i camion che li accompagnano a lavoro senza riguardo; per inserire nuovə operaiə, fa sgomberare un campo di roulotte dove centinaia di famiglie immigrate vivono; pur scoprendo di poter pagare comunque alcune persone rimaste senza stipendio, si intasca i soldi.
Approfitta də altrə, mettendo la vita di chi è emigratə in secondo piano e dando la priorità alla propria serenità, alla felicità del proprio figlio, che non vive con lei e che dimostra segni di disagio.
È vero, anche la sua non è una situazione semplice e anche lei ha sofferto e a volte infatti, si prova pietà per lei, ma è impossibile scusarla del tutto: si percepisce l’immoralità del suo comportamento. Angie non si mette nei panni də immigratə che si rivolgono a lei: anche loro hanno figlə, similə al suo che, però – a differenza loro – è nato nella parte “giusta” del mondo e, per questo, pare avere più valore delle creature delle madri e dei padri stranieri.
Il comportamento non propriamente morale di Angie non può non far pensare noi filosofə a Kant, uno də studiosə che ha maggiormente trattato tali tematiche. La ragazza, infatti, fa esattamente il contrario di ciò che il filosofo tedesco professa: tratta gli altri solo come mezzo e non come fine (1). Usa le altre persone per i propri interessi: affonda la barca altrui per tenere a galla la propria.
Sarà proprio questo il motivo di scontro con Rose e il padre. Quest’ultimo, in particolare, mediatore per natura nei litigi tra madre (sua moglie) e figlia, arriverà lui stesso allo scontro con Angie quando scoprirà il lavoro che fa e vedrà come la figlia si comporta.
Amica e padre appaiono come la parte ancora morale di lei: il distacco con loro rappresenta la chiusura e la cesura con la sua parte morale.
Un altro richiamo filosofico è legato al nome stesso del film: In questo mondo libero. Il titolo deriva da un dialogo, nel quale Angie sostiene di poter fare quello che vuole, sfidando le regole etiche, ma anche – più semplicemente – fiscali e lavorative: d’altronde siamo in un mondo libero.
Questo concetto di libertà, indipendente dalla morale e dalle regole, non può che lasciare perplessità e anche su questo punto Kant non sarebbe concorde. Così come, successivamente, riprendendo il pensiero kantiano, non lo fu Jonas. La libertà non dovrebbe sconfinare nell’egoismo e nella prevaricazione, che è quello che fa Angie: deve mantenere intatte la dignità e le capacità dell’Altrə.
La libertà, insomma, non può prescindere dalla responsabilità, che nasce dalla coscienza (2).
Non sappiamo se Ken Loach, pensando al film, abbia riflettuto su tutte queste tematiche. Probabilmente a lui preme di più parlare di lotta di classe. Come già detto, per il regista è questo lo snodo fondamentale, il problema dei problemi: una questione che pare superata ma che, per lui, è ancora più che mai attuale.
Anche questo, in realtà, è un tema caro alla filosofia: d’altronde a parlarne maggiormente è stato proprio un filosofo, Karl Marx, che con Engels afferma che «la storia di ogni società esistita finora è storia di lotte di classi» (3).
Ken Loach, con il film, ci pare dire che la lotta di classe non è più solo quella tra operai e borghesi: il contrasto è più ampio e le “facce” di sfruttatə e sfruttatorə sono cambiate nella nostra epoca di capitalismo ormai predominante.
Un’ulteriore riflessione che viene spontanea riguarda il genere a cui appartiene la protagonista. Perché il regista sceglie spesso proprio una donna per rappresentare figure così simboliche delle contraddizioni della nostra società?
La risposta certa non possiamo averla e non pare casuale che Loach non si sia mai espresso esplicitamente sul femminismo. Con questo, non si vuol dire che il regista sia totalmente estraneo a tali argomenti: rappresenta spesso donne e dimostra di avere a cuore varie tematiche in comune con le persone femministe. Si può però riflettere sulle sue parole in un’intervista a “L’Espresso”. Parlando di The Old Oak, una produzione di sedici anni successiva a In questo mondo libero ma ancora incentrata suə rifugiatə, a seguito di una domanda sulla centralità del ruolo femminile nelle sue pellicole forse svela la risposta:
«Non lo faccio per sostenere l’inclusione delle donne nei film, ma per essere onesto e fedele alla realtà dei fatti: nei grandi scioperi della storia, come quello dei minatori […] le donne sono state fondamentali. Portavano avanti le proteste, organizzavano la distribuzione del cibo, tenevano discorsi pubblici, lottavano per l’emancipazione. Le abbiamo viste tutti, in ogni Paese, e le vediamo ancora oggi. Chi non mette le donne al centro del racconto vuole ignorarle di proposito» (4).
Con queste parole, Loach ci fa capire che per lui il problema non è il genere, o meglio: sembra non porsi il problema a favore della conformità storica.
La lotta di classe è per lui una lotta universale, che oggettivamente riguarda e coinvolge tuttə ed è, quindi, una battaglia contro tutte le oppressioni. Se le donne sono state ignorate in questa lotta e nella sua rappresentazione, per lui, è voluto, è una scelta ben precisa, una omissione oculata.
La lotta di classe non dovrebbe escludere le donne: è una battaglia anche per la loro liberazione.
Per questo, il film In questo mondo libero è prezioso per riflettere su questo tema: Angie è una donna forte, ha avuto delle problematiche e si è liberata, ma invece di mettersi dalla parte di chi è sfruttatə, diventa una sfruttatrice. Angie combatte la sua battaglia di donna come ragazza madre che cerca di lottare contro gli stereotipi legati a questo e come persona che cerca la propria autonomia finanziaria. Non combatte, però, quella che per Ken Loach è la lotta più importante, totale e totalizzante: quella di classe.
Si limita ad una sola battaglia, ma così non sarà mai davvero libera.
Ken Loach non lo sa, forse, e non lo dichiara, ma è, in fondo, un femminista intersezionale.
(1) I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, in Scritti morali, UTET, 1995, p. 88.
(2) «Kant nella I critica è stato il più efficace a distinguere il senso morale filosofico da quello giuridico di libertà e responsabilità: è moralmente responsabile l’uomo che agisce in maniera autonoma, ovvero non determinata da forze esterne (ossia grazie a quello che io chiamo Principio di Responsabilità). Dove c’è costrizione, non c’è moralità, la moralità agisce sull’individuo libero, moderato dal principio di responsabilità verso l’altro» (Hans Jonas, Il principio di responsabilità, Einaudi, 1979, p. 34). Per approfondire vedere anche qui.
(3) K.Marx e F.Engels, Manifesto del partito comunista, Giunti editore, Firenze, 2013, p.17.
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